il retroscena
inviato a bari
Distinguersi una volta in più dal Pd. Mostrarsi come l’unico, vero difensore dei principi di legalità e trasparenza. Far vedere che è lui, non Elly Schlein, a dettare le regole del gioco nel campo progressista. Tutto questo per Giuseppe Conte è molto più importante di un’eventuale vittoria alle elezioni comunali di Bari. Il giorno dopo lo strappo sulle primarie per il candidato sindaco, il presidente M5s non devia di un millimetro dalla sua linea. Non offre sponde ai pontieri del Pd, che si sono rimessi a lavoro per suggerire un terzo nome unitario e ricomporre così la frattura. Sa che il candidato appoggiato dal Movimento, l’avvocato Michele Laforgia, non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro, e sottolinea che i dem «non hanno mai spiegato una ragione ostativa alla sua corsa». Quindi, l’ex premier mostra platealmente il suo risentimento per l’accusa di «slealtà» arrivata dalla segretaria dem: «Una mancanza di rispetto, un’accusa offensiva, se non la ritira diventerà sempre più difficile lavorare insieme», avverte. Poi, adombra «conseguenze» nel rapporto complessivo con il Pd, che ha avuto una «reazione scomposta», facendo girare la voce che lui non avesse avvisato Schlein prima di far saltare le primarie baresi. «Una falsità, l’ho chiamata mercoledì».
Sono qualcosa più di semplici schermaglie. Da Bari la Sardegna sembra lontanissima, le foto della festa e degli abbracci per la vittoria di Alessandra Todde ingialliscono. «Se ci siamo noi, le cose si fanno in un certo modo. Se il Pd non ci vuole, ce ne faremo una ragione», arriva a dire Conte. Ribaltando a suo modo il piano di realtà, visto che è lui a chiamarsi fuori dal percorso di coalizione per prendere le distanze dalle inchieste che hanno colpito i dem in Puglia. «Noi siamo per la legalità», continua a ripetere, suggerendo che gli altri, Schlein e compagni, siano invece invischiati in storie oscure di voti comprati e corruzione elettorale. Pur sapendo che i fatti contestati risalgono a molto prima dell’arrivo della nuova segretaria. E sorvolando sul fatto che anche il Movimento è in maggioranza con il Pd a sostegno della giunta regionale di Michele Emiliano, toccata dall’ultima inchiesta. Prevale il richiamo identitario, la volontà di mostrarsi come unico paladino della questione morale e della lotta antimafia, a discapito di qualunque ragionamento unitario. «Ci sono valori che per noi non sono derogabili – ribadiscono dal Movimento – mostrarci flessibili su questo terreno ci farebbe perdere troppi voti». Insomma, se i nostri compagni di viaggio possono apparire “sporchi”, noi dobbiamo evitare di farci vedere al loro fianco. Per Carlo Calenda quello di Conte è «un atto di sciacallaggio». Per Andrea Orlando «un tentativo un po’ furbetto di speculare sulle difficoltà di un alleato. Ma oggi togli qualche punto al Pd – spiega l’ex ministro – domani sei quello che ha consegnato Bari alla destra».
Il punto è che la partita del capoluogo pugliese è solo l’ennesima dimostrazione che per Conte non c’è nulla di definito nel rapporto con il Pd. Nessun impegno a consultarsi, nessun particolare riguardo nei modi o nei toni, quando si tratta di ottenere un vantaggio immediato per il Movimento. Come sulla questione dell’invio di armi all’Ucraina: nessuna critica risparmiata al Pd «bellicista». O sull’immigrazione e la presunta linea dem dell’«accoglienza indiscriminata». Temi che torneranno nella campagna elettorale per le elezioni Europee, in cui è logico attendersi altri colpi sotto la cintura nei confronti di Schlein.
I sondaggi, d’altra parte, danno i 5 stelle quasi in scia al Pd e, pur se lo stesso Conte non crede nel sorpasso, proverà fino all’ultimo a ridurre il divario. Anche assumendosi il rischio di regalare Bari alla destra. Tanto a perdere, nel caso, sarebbe il Pd, che ha amministrato la città negli ultimi vent’anni, prima con Michele Emiliano e poi con Antonio Decaro, «mentre noi in consiglio comunale siamo all’opposizione», ricordano dal Movimento. Da una parte, come in Sardegna, la tela si cuce quando conviene, dall’altra viene sfilacciata, in una eterna e sfiancante tessitura, approfittando della pazienza e della «testardaggine» di Schlein.
Solo all’ultimo momento, cioè verso la fine della legislatura, Conte deciderà se la tela potrà essere completata e ricamata a forma di alternativa di governo progressista. Molto dipenderà da chi, tra lui e la segretaria Pd, avrà in mano l’ago e il filo. —
Ni. Car.