LA SFIDA QUOTIDIANA DI TANTI ASSISTITI ALLE PRESE CON I DISSERVIZI “PER PAGARE LE SPESE NON RICONOSCIUTE NON CI CONCEDIAMO NULLA”

flavia amabile
Roma
«Qui in Basilicata quasi nessuno conosce la mia malattia». Salvatore Losenno abita a Pisticci, in provincia di Matera: da quando aveva 12 anni soffre di una patologia rara, la Charcot Marie Tooth. Ha difficoltà a camminare senza l’aiuto di calzature ortopediche e tutori in carbonio. Ora di anni ne ha 52, vuol dire che da quattro decenni combatte con il servizio sanitario pubblico che non riesce ad assisterlo come sarebbe necessario e lo costringe a rivolgersi al privato per le visite. «Ho bisogno di visite neurologiche, nella mia regione si aspettano fino a 18 mesi per averle con il Servizio sanitario nazionale. Un’attesa che non sempre mi posso permettere, negli ultimi due anni per due volte sono stato costretto a pagare una visita privata, per esempio quando ho dovuto presentare le pratiche per l’assegno di invalidità. E per trovare qualcuno in grado di capire la mia malattia devo andare fino a Bari, a più di 100 chilometri di distanza, prendendo anche una giornata di permesso». Salvatore Losenno ha bisogno anche di scarpe ortopediche e tutori in carbonio. «Secondo l’Asl dovrei cambiarle ogni dodici mesi ma si consumano prima. Devo rifarle e si rifiutano di autorizzare la fornitura». Salvatore Losenno ha tre figli e uno stipendio che non arriva a duemila euro. «Per pagare anche le spese mediche che non mi vengono riconosciute non mi concedo nulla se non lo stretto necessario per sopravvivere», ammette.
È la vita quotidiana di milioni di italiani che ogni giorno devono scegliere tra fare la spesa e curarsi, in una situazione che non prevede margini di miglioramento. «Sono un essere umano che combatte da 32 anni con la salute, ho tutti i diritti di essere curata con la sanità pubblica», ha scritto a maggio Angelica Meloni, 64 anni, alla Asl di Sassari, dove vive, in una mail di protesta. E ha concluso: «Basta, ora lo dico senza volgarità e retorica, mi avete portato via pure le mutande». L’ultima visita privata la signora Angelica l’ha pagata a settembre. Era una visita cardiologica con elettrocardiogramma prescritta dal medico che l’ha vista per un problema di affaticamento. «Con il servizio sanitario pubblico avrei dovuto aspettare fino al maggio del 2024 ma io ho molte patologie, sono in recidiva da un linfoma, ho una fibromialgia, mi hanno scoperto dei problemi alla valvola mitralica e a quella dell’aorta, non posso aspettare. Ho pagato 150 euro e, guarda caso, ho ottenuto subito l’esame».
Enrico Pantoini ha 62 anni, abita a Bergamo e, nonostante una vita a lavorare nelle multinazionali come ingegnere, nel 2013 ha perso il lavoro e non è riuscito più a trovare un altro impiego. «Sono senza pensione, ho due patologie croniche, una moglie invalida al 75% ed entrambi abbiamo bisogno di visite di controllo periodiche. Rivolgerci al privato non è possibile, non avrei i soldi per mangiare. Però curarsi è sempre più difficile. Ora quando chiamo il centro prenotazioni non mi danno più un appuntamento dopo un anno, semplicemente mi rispondono di richiamare. Nemmeno le visite urgenti vengono garantite. Ho messo da parte una piccola cifra. Sono i risparmi che mi permettono di vivere. In caso di urgenze ricorrerò a quelli ma non so poi come andrò avanti».
Francesca Lato abita a Roma e ha la madre, Paola Giampaoli, costretta da 5 anni a convivere con un crollo vertebrale e una broncopolmonite cronica ostruttiva. Vuol dire dover respirare con l’ossigeno e avere forti difficoltà a camminare. «Ora però la regione Lazio per risparmiare ha ridotto i cicli di fisioterapia. Vuol dire condannare mia madre a non alzarsi più dal letto. Io riesco a pagare un’ora di fisioterapia una volta a settimana ma non è sufficiente».