STEFANO PATUANELLI (M5S): “NON ESISTONO PATTI PARASOCIALI SEGRETI”

niccolò carratelli
roma
Stefano Patuanelli non ci sta a passare per quello che ha messo l’ex Ilva su un binario morto. «Il secondo governo Conte ha lasciato un quadro di certezze, con risorse e un piano industriale – dice l’ex ministro M5s – poi spettava a chi è venuto dopo proseguire, a Draghi e ora a Meloni». Ma l’errore originario, la responsabilità cruciale in questa vicenda, spiega Patuanelli, «è quella della scelta del contraente fatta da Calenda ministro nel 2017, puntando su Mittal, peraltro senza aprire ai rilanci dopo la prima offerta, come previsto dal bando di gara».
Non era Mittal il cavallo giusto su cui puntare?
«C’era un’altra cordata pronta a subentrare a Taranto, composta dal gruppo Jindal e dal gruppo Arvedi, quali soci industriali di indiscussa capacità, con il sostegno finanziario di Cdp, e quindi dello Stato, e la partecipazione di Leonardo Delvecchio. Quella era la cordata giusta a cui affidare l’ex Ilva, ora staremmo raccontando un’altra storia».
Però è stato il primo governo Conte, con il Movimento 5 stelle, a finalizzare la procedura con Mittal…
«Il parere dell’Avvocatura dello Stato parlava di una gara viziata per la mancanza della fase dei rilanci, ma anche che, arrivati a quel punto, era d’obbligo tutelare l’interesse pubblico e andare avanti, dato che l’altra cordata era stata messa in liquidazione e non c’erano alternative: si sarebbe prodotto solo un danno per le casse pubbliche».
Secondo Calenda, invece, il peccato originario è la vostra scelta di eliminare lo scudo penale sui reati pregressi, che ha fatto cambiare atteggiamento al colosso indiano. Sbaglia?
«Mi sembra chiaro che la questione dello scudo penale sia stata usata come un pretesto per giustificare il disimpegno. Basta vedere cosa sta succedendo oggi: il governo Meloni ha ripristinato lo scudo, ma l’impegno di Mittal non è aumentato. Quindi, la smettano di gettare accuse ridicole contro il Movimento e ripassino la storia».
Per voi era chiaro che non fosse il partner giusto, però poi ci avete fatto una società, con Invitalia socio di minoranza.
«Ma Mittal era già contraente dello Stato, era già dentro lo stabilimento, l’unica possibilità era continuare con loro, facendo un accordo di investimento, che avrebbe portato Invitalia al 60% e messo Mittal in minoranza».
Calenda prepara un’interrogazione per chiedere di rendere pubblici i patti parasociali di quell’accordo.
«Può stare tranquillo, non esistono patti parasociali segreti, è tutto alla luce del sole. Avevamo costruito un percorso, che a mio avviso si dovrebbe proseguire, con Mittal se ci sta o, come mi sembra più probabile, con un altro partner industriale. Ma questo deve deciderlo l’attuale governo».
La soluzione è tornare al controllo pubblico?
«Un forte investimento e controllo pubblico e un investitore industriale affidabile. Non sarà facile trovarlo, ma il sito di Taranto resta strategico a livello europeo». —