Marco Travaglio

Il bello e il brutto dell’“educazione all’affettività”, invocata come arma letale e “bipartisan” contro i femminicidi, è che gli educatori e gli educandi non saranno tutti uguali: saranno cittadini in carne, ossa, idee, giudizi e pregiudizi. E non sempre la carne, le ossa, le idee, i giudizi e i pregiudizi degli educatori coincideranno con quelli degli educandi, né tantomeno con quelli dei loro genitori, parenti, amici e modelli di riferimento. Quando i politici di sinistra o del M5S propongono lezioni scolastiche di affettività, le pensano molto diverse, se non opposte, da quelle immaginate dai meloniani, leghisti, o forzisti. Ma i programmi scolastici li decide il ministero: quando governeranno gli uni emaneranno certe direttive per il corpo insegnante e quando governeranno gli altri le sostituiranno con tutt’altre. Così avremo un bipolarismo dell’affettività che cambia ogni cinque anni (se va bene, o male a seconda dei gusti) e incrocia i cicli scolastici: due anni affettività di destra e tre di sinistra, o viceversa. Sempreché gli insegnanti destri obbediscano ai ministri sinistri e i sinistri ai destri. Immaginiamo un ragazzo di destra o un bambino con genitori di destra e un docente di affettività di sinistra: il ragazzo contesta l’insegnante per come gli parla di gay, gender fluid, aborto, divorzio, contraccettivi, e i suoi compagni si schierano un po’ con lui un po’ col prof; il bambino racconta a casa cosa gli hanno insegnato e l’indomani i genitori vanno a protestare con l’insegnante o col preside, poi scrivono ai giornali o sui social o nei talk, poi la Meloni, o Salvini, o Valditara, o Lollobrigida, o Pillon, o Mollicone (quello che vuole spezzare le reni a Peppa Pig) chiedono la cacciata del “Professor Gender”, mentre le opposizioni lo difendono. Stessa scena se il prof è un destro maschilista patriarcale “pro life” e “anti-gender”, di quelli che fanno impazzire la sinistra femminista e Lgbtq+: ne basterebbe uno per far pentire Elly Schlein e tutti i tifosi della famosa legge bipartisan per l’educazione all’affettività. Ma, siccome metà dei votanti è di destra, di insegnanti ne avremmo migliaia.
Nel migliore dei mondi possibili si rispetterebbe l’autonomia della scuola, si discuterebbe civilmente, si sentirebbero gli esperti, si esporrebbero le varie opzioni e si lascerebbero le conclusioni al libero arbitrio degli studenti. Ma siamo il Paese del palio delle contrade, dove basta un voto negativo al cocco di mamma o un fallo fischiato al figlio di papà per scatenare la furia dei genitori contro l’insegnante o l’arbitro che “non si deve permettere”. Siamo realisti: anziché educare all’affettività, la scuola diventerebbe una via di mezzo fra il Vietnam, il pollaio e la prima pagina di Libero. Altro che bipartisan. E i ragazzi, mentre i grandi litigano, tutti su Youporn.