Le destre salveranno la meloniana, la Lega avverte: “Ma allora deve valere per tutti”. Si temono gli sviluppi giudiziari

Luca De Carolis e Giacomo Salvini

Le destre che mal si sopportano tra loro voteranno per salvare la ministra di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè, la prossima settimana. Perché fare il contrario significherebbe crisi di governo, e allora meglio togliersi la rogna nell’estate del caldo record piuttosto che a settembre, quando potrebbe esserci un altro livello di attenzione per una vicenda che è un rosario di guai. Ma la Lega già pregusta il prezzo da presentare a Giorgia Meloni per il suo “no”. Da riscuotere a breve, subito dopo il 26 luglio, il mercoledì in cui la maggioranza dovrà per forza (ri)compattarsi per votare contro la mozione di sfiducia per Santanchè, presentata dal M5s. Così ha deciso la conferenza dei capigruppo di ieri a Palazzo Madama, per la freddezza degli altri partiti del molto presunto centrosinistra, che comunque sosterranno la richiesta. Un’ordalìa da cui la ministra del Turismo uscirà indenne. Ma non sarà indolore.
Ieri anche Ignazio La Russa, molto legato a Santanchè, ha detto “sì” alla calendarizzazione della mozione. “Un atto dovuto e inevitabile”, dice un ministro. Rinviare a dopo l’estate avrebbe voluto dire esporsi all’accusa di voler “salvare” la ministra e comunque legare la mozione di sfiducia alla tempistica dei magistrati di Milano: in caso di pesanti accuse giudiziarie, quindi, Meloni potrà sempre dire di aver fatto di tutto per difendere Santanchè prima di scaricarla. Anche perché nella maggioranza, e anche dentro Fratelli d’Italia, nessuno è pronto a garantire sul futuro politico di Santanchè.
Dopodichè, il primo rischio per Fratelli d’Italia – ed è quello su cui puntano forte i 5Stelle – è dover rimpiangere il veto alla rimozione della ministra da qui a poche settimane, di fronte a un ulteriore deflagrare del caso. E a ricordarlo ci sono anche i ghigni fuori taccuino dei leghisti. “Per noi la mozione sarà una situazione da win–win: se dopo la votazione la situazione dovesse peggiorare, la colpa di non aver staccato la spina prima sarà tutta della Meloni”. In caso contrario, a Palazzo Chigi e dintorni “dovranno comunque ricordarsi che abbiamo salvato una dei loro: è un precedente”. Ergo, per il Carroccio non affondare la ministra fa rima con favore, di quelli che pesano. Sostengono di averlo fiutato anche i 5Stelle, che hanno fortemente voluto la mozione. Così con il Fatto la vicecapogruppo in Senato, Alessandra Maiorino, può rivendicare “un risultato politico, perché non era scontato che la mozione venisse calendarizzata con questa tempistica”. Ma così sperava innanzitutto Giuseppe Conte, che ieri parlando con i suoi rilanciava: “Santanchè ha detto tante bugie in Senato, facendo finta di non sapere della sua iscrizione sul registro degli indagati, mentre lo aveva appreso già marzo. Ha denotato una spregiudicatezza che è incompatibile con la sua carica”.
Ma il punto politico per il M5s era costringere la maggioranza a salvare la ministra, “mentre anche loro non sanno come evolverà la vicenda, sul piano giudiziario e non”. Tanto più, seminano benzina i grillini, “che i leghisti ci dicono di non poterne più di questa storia, da tempo…”. Ma nella partita della sfiducia tutte le squadre sono slabbrate. Ieri nella conferenza dei capigruppo il ministro ai Rapporti con il Parlamento di FdI, Luca Ciriani, ha volutamente chiesto agli altri rappresentanti delle opposizioni se condividessero la mozione del Movimento: ottenendo ciò che si aspettava, un diffuso silenzio. “Ma noi voteremo sì alla sfiducia” ribadisce il capogruppo dem Francesco Boccia. E sostegno arriverà anche da Avs. Mentre Azione e Italia Viva buttano la palla in tribuna: “Valuteremo”. Ma appare quanto mai improbabile un loro sì.
E la ministra? Chi le ha parlato la definisce “determinata” e concentrata sulla riforma delle guide turistiche. A La Verità giura: “Vado avanti, non capisco da cosa dovrei difendermi”.