NUOVI CRITERI PER DISTRIBUIRE I FONDI ALLE REGIONI: 500 MILIONI PER RIDURRE I TEMPI, ANCHE GRAZIE AI CONVENZIONATI TRA LE IPOTESI ANCHE UNA NORMA CHE PREVEDA LA RIMOZIONE DEI DIRETTORI GENERALI SE NON RISPETTANO GLI OBIETTIVI

PAOLO RUSSO
ROMA
Mentre un report del ministero della Salute rivela che la metà delle regioni non è riuscita a garantire le cure essenziali, il ministro Schillaci chiama dalla panchina i privati per abbattere le sempre più lunghe liste di attesa. «Serve mettere nelle agende di prenotazione anche il privato convenzionato e basta liste bloccate», ha detto nella conferenza stampa sul riparto dei 125 miliardi del fondo sanitario 2022.
Parole che meritano però spiegazioni. Riguardo le strutture convenzionate Schillaci pensa a una qualche disposizione che vincoli i Cup regionali a inserire nelle proprie agende anche i privati, che a volte preferiscono gestirle da soli. Sia per non superare i budget prefissati dalle regioni, con il rischio di dover erogare prestazioni che non vengono rimborsate, sia per catturare più facilmente gli assistiti nel più confortevole e caro “ramo solventi”. Ma il ministro ragiona anche su una norma che preveda la rimozione dei direttori generali nel caso non centrino l’obiettivo di ridurre le liste di attesa.
Riguardo alle liste bloccate, si tratta semplicemente di una prassi illegale, sulla quale il ministero è intenzionato a vigilare. Così come si vuole mettere il sale sulla coda alle regioni affinché rendano più trasparenti i loro siti nel fornire i dati reali sui tempi d’attesa, visto che quando vengono superati quelli massimi previsti per legge si ha diritto a rivolgersi direttamente al privato dietro pagamento del solo ticket. Una norma finora largamente inapplicata, sia perché poco conosciuta, sia perché quasi mai le Asl mettono a disposizione degli assistiti i moduli per chiedere di poter ricorrere al privato. Richieste che Schillaci vorrebbe fosse possibile inoltrare direttamente dai siti regionali. Ma qui si entra nel campo di competenza delle singole regioni, valicabile solo previo accordo con le stesse.
Il ministro chiama però in causa anche i medici di famiglia, «che devono seguire il paziente programmando controlli e calendario delle visite». Oltre che prescrivere quel che è effettivamente necessario, ha anche rimarcato.
Intanto nel riparto alle regioni rispuntano i 500 milioni già stanziati proprio per il taglio delle liste di attesa, dei quali 150 destinati alle prestazioni in più erogabili dai privati, «eventualmente incrementabili sulla base di specifiche esigenze regionali».
Ma novità si annunciano per il 2023. «In tempi congrui procederemo al riparto dei 125 miliardi del fondo sanitario in base ai nuovi criteri, che tengono conto anche dell’indice di deprivazione sociale, ha spiegato il ministro. In pratica anziché distribuire le risorse in base alla sola popolazione “pesata” per età, che ha fino ad oggi avvantaggiato le più ricche e più anziane regioni del nord, ora si terrà conto anche di cose come tassi di istruzione e di disoccupazione, oltre che dell’indice di povertà, per assegnare l’1,5% del fondo, circa 2 miliardi che andranno a dare un po’ di ossigeno ai bilanci sanitari delle regioni meridionali. Ammonta invece allo 0,5% del fondo, circa 600 milioni, il premio per le regioni che meglio assicurano la piena applicazione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza.
Proprio ieri però un report del ministro della Salute rivela che metà delle regioni, tutte quelle del sud più la Liguria, i Lea non riescono a garantirli. Almeno così è andata nel 2020, anno primo della pandemia e ultimo monitorato. La Calabria conferma di essere al collasso sanitario con tutte insufficienze, sia nell’area ospedaliera che in quelle dell’assistenza territoriale e della prevenzione, che comprende coperture vaccinali, screening oncologici e controlli su animali e alimenti. La regione con i punteggi complessivi più alti è l’Emilia Romagna, mentre il Veneto eccelle nell’assistenza territoriale, valutata anche in base alla capacità di fare filtro rispetto agli intasatissimi ospedali.
Novità arrivano anche dagli emendamenti al “milleproroghe” approvati dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato. L’uso della ricetta elettronica sarà prorogato fino al tutto il 2025 mentre si profila l’innalzamento a 72 anni dell’età di pensionamento di medici di famiglia e pediatri di libera scelta. Bocciato invece l’emendamento leghista che prevedeva lo stesso per gli ospedalieri. Viene elevato poi da 4 a 8 ore il tetto per l’attività libero professionale degli infermieri, anche in strutture diverse da quelle di appartenenza. Rispuntano i soldi per il Piano oncologico: 50 milioni per gli anni 2023-24. —