Il leader 5S fa tappa a Milano, ma il nodo resta Roma:“Niente voto disgiunto, nessun tavolo col Pd neanche se vince”

Lorenzo Giarelli

La sfida in Lombardia somiglia a una missione impossibile. Quella nel Lazio fa i conti con la spaccatura tra gli ex giallorosa, con conseguente tappeto rosso steso a beneficio di Francesco Rocca e del centrodestra. Giuseppe Conte si muove tra i pendolari lombardi e le case popolari milanesi per convincere tutti che il modello che governa da 28 anni la Regione – e che si ripropone col leghista Attilio Fontana alle elezioni di domenica – è un fallimento per chiunque non abbia i soldi per pagarsi l’eccellenza, sanitaria, abitativa o logistica che sia.
Ma la testa torna anche alla sfida laziale, con Conte che, dialogando col Fatto, risponde alla provocazione lanciata ieri su queste pagine da Antonio Padellaro, secondo cui molti elettori 5 Stelle potrebbero spostarsi sul candidato Pd-Azione Alessio D’Amato, attraverso il voto disgiunto, pur di non consegnare la vittoria alla destra. L’ex premier è netto, nel giorno in cui lo stesso D’Amato chiede il disgiunto per sé: “Non si può rispondere all’offerta politica di centrodestra, per quanto inadeguata sia, proponendo metodi da vecchia politica con votazioni disgiunte. Che significa? Votare il candidato di una coalizione e poi il programma di un’altra? E che fa il candidato che viene eletto, applica il programma di un’altra coalizione? La votazione disgiunta è una presa in giro agli elettori”. Con buona pace anche del centrosinistra lombardo, che invece con Pierfrancesco Majorino si è più volte rivolto agli elettori di Azione e Italia Viva affinché mollassero Letizia Moratti.
Il primo incontro tra Conte e Majorino è in contemporanea col maxi-evento unitario del centrodestra a sostegno di Fontana. Segno di una sfida tutta in salita. In Lombardia un’intesa sul programma si è trovata, anche se Conte vive il rapporto col Pd con una certa freddezza: “Difficile dire se l’accordo sia replicabile su scala nazionale dato che con il Pd, che rappresenta tante cose, per esperienza bisogna essere molto cauti: vediamo cosa uscirà dal congresso”. Il tema si incrocia ancora col Lazio e il leader M5S esclude anche che il dialogo con D’amato possa riprendere dopo una sua eventuale vittoria: “Mi faccia capire: il Pd con grande arroganza non ha voluto accettare di condividere con noi il programma prima, ha cercato di imporci un candidato suggerito da Calenda, e noi dopo dovremmo sederci al tavolo? Non funziona così la politica”.
Porte chiuse, allora. E anche in Lombardia, dove pure c’è una coalizione larga, bisogna prima di tutto pensare a sé stessi. Per la lista del Movimento sarebbe un buon risultato replicare l’8 per cento delle politiche. Conte parte all’alba da Vigevano, 40 minuti di treno da Milano, per fare il viaggio dei pendolari. “È una delle tratte più disastrate della Lombardia”, lo accoglie il candidato 5 Stelle, Ivan Fassoli.
L’ex premier passa tra i vagoni e tutti raccontano più o meno la stessa storia: ritardi, cancellazioni, sporcizia. Per una volta il regionale è puntuale, ma è un terno al lotto: quello successivo si ferma per 20 minuti in mezzo alla campagna, facendo infuriare i passeggeri. All’arrivo a Milano, Conte passeggia tra i banchi del mercato di via Papiniano, poi partecipa a un dibattito sul Superbonus con Peter Gomez: “Quando era all’opposizione, Meloni sosteneva le imprese edili, un attimo dopo essere andata al governo ha detto che il Superbonus era una misura che creava un buco, affermazioni infondate”. Il filo conduttore è il racconto di una Lombardia a due velocità. Perciò, dopo pranzo, in agenda c’è una visita alle case popolari, insieme tra gli altri al capogruppo Nicola Di Marco: “A Milano è in corso una emergenza abitativa. Molti di questi condomini sono in condizioni fatiscenti, sono discariche a cielo aperto, sono anche luoghi di spaccio”. Poi l’ex premier incontra Majorino. È la prima foto insieme dopo parecchie settimane di campagna elettorale. Non molto, ma vista l’aria che tira tra 5 Stelle e Pd, c’è da accontentarsi.