LA PRESIDENTE INTERVIENE DOPO LA DOMANDA ELUSA A BERLINO: NO ALLE DIMISSIONI DI DELMASTRO «ORA ABBASSIAMO I TONI, MA INQUIETA CHE LA PROTESTA DI COSPITO SIA PARTITA COL NOSTRO GOVERNO»

antonio bravetti
roma
Gli appunti di Giorgia con l’elmetto. Dopo giorni di silenzio, Meloni scrive. Battagliera. La presidente del Consiglio dice la sua sul caso Delmastro-Donzelli senza contraddittorio, nero su bianco, in una lettera al Corriere della Sera. Blinda il sottosegretario alla Giustizia e attacca il Pd sul 41-bis. Chiede a tutti, «a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia», di abbassare i toni. Non esistono in «alcun modo i presupposti» per le dimissioni di Delmastro, assicura. Ma è col partito di Enrico Letta che è scontro frontale: «Il Pd, ben sapendo quanto alla mafia convenga mettere in discussione il 41-bis, finge di non comprendere le implicazioni» della visita in carcere ad Alfredo Cospito. La reazione del Nazareno è rabbiosa: «Meloni parla da capo politico e con le sue parole riattizza il fuoco invece di spegnerlo».
Giuseppe Conte si dice pronto a raccogliere l’appello a smorzare lo scontro, ma prima la leader di FdI «deve imporre le dimissioni ai suoi fedelissimi». In serata, in un messaggio inviato via chat ai parlamentari, Meloni registra lo scarso successo del suo invito: «Dalle risposte al mio appello credo che l’opposizione preferisca continuare ad alimentare la polemica».
A deputati e senatori la presidente del Consiglio scrive di essere «sinceramente preoccupata» da chi «soffia direttamente sul fuoco» e «dal clima che si sta creando attorno a questa vicenda» dai «contorni abbastanza inquietanti, compresa la tempistica che quasi sovrappone la nascita del governo all’inizio dello sciopero della fame da parte di Cospito. È possibile che io stia esagerando e spero sia così, ma comunque vada serve che tutti siano concentrati e seri. Comunque vada vi invito a non partecipare» alle polemiche.
Nella sua lettera Meloni spiega che se finora è rimasta in silenzio è per «non alimentare una polemica che considero, per tutti, controproducente». Perché, ragiona, «mentre maggioranza e opposizione si accapigliano sul caso», la vicenda «rischia di avere conseguenze gravi». Servono quindi «prudenza e cautela» e uno «Stato compatto in tutte le sue articolazioni e componenti a difesa della legalità». Dice Meloni che «sicuramente i toni si sono alzati troppo, e invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportarli al livello di un confronto franco ma rispettoso. Tuttavia – sottolinea – non ritengo vi siano in alcun modo i presupposti per le dimissioni che qualcuno ha richiesto. Peraltro, le notizie contenute nella documentazione oggetto del contendere, che il ministero della Giustizia ha chiarito non essere oggetto di segreto, sono state addirittura anticipate da taluni media».
Meloni trova «singolare l’indignazione» del Pd per l’accusa «sicuramente eccessiva» di flirtare con la mafia. Finanche «paradossale che non si possa chiedere conto ai partiti della sinistra delle loro scelte, quando all’origine delle polemiche di questi giorni si colloca oggettivamente la visita a Cospito di una qualificata rappresentanza del Partito democratico. Quello che colpisce me, ancora più di quella visita, è che dopo aver preso atto dei rapporti tra Alfredo Cospito e i boss mafiosi in regime di carcere duro, e ben sapendo quanto alla mafia convenga mettere in discussione il 41bis, autorevolissimi esponenti del Pd abbiano continuato a chiedere la revoca dell’istituto per Cospito, fingendo di non comprendere le implicazioni che tale scelta avrebbe avuto soprattutto in termini di lotta alla criminalità organizzata».
Enrico Letta e i capigruppo Serracchiani e Malpezzi non ci stanno; accusano Meloni di «difendere l’indifendibile». I vertici del Pd ritengono «davvero molto grave che la presidente del Consiglio non consideri la diffusione di documenti dichiarati dal Dap non divulgabili come una ragione per le dimissioni del sottosegretario alla Giustizia. E riteniamo altrettanto grave che non senta il dovere di prendere le distanze dall’uso diffamatorio verso il Partito democratico che il coordinatore del suo partito, nonché vicepresidente del Copasir Donzelli, ha fatto di quelle notizie riservate».
L’ex ministro Andrea Orlando parla di una «lettera carica di rancore» e ribatte: «Non abbiamo bisogno dei suoi appelli per stare in prima linea contro la mafia e il terrorismo». —