LA PERQUISIZIONE L’INTERVENTO DEL FONDATORE

Federico Capurso
ROma
Lo aspettavano tutti, Beppe Grillo. Lo aspettava Luigi Di Maio, così come Giuseppe Conte, per capire sulla spalla di chi, tra i due contendenti, avrebbe poggiato la mano il Garante. Ma il post con cui il fondatore interviene sul suo blog ha il gusto amaro dello sdegno. Quello a cui sta assistendo, scrive, è un «cupio dissolvi». E ogni parola suona come un ultimo avvertimento prima del burrone: «Non dissolvete il dono del padre nella vanità personale». E ancora: «Il necessario è saper rinunciare a sé per il bene di tutti, che è anche poter parlare con la forza di una sola voce. Ma se non accettate ruoli e regole – ammonisce – restano solo voci di vanità che si (e ci) dissolvono nel nulla».
Il messaggio del Garante scuote il corpaccione parlamentare grillino, rievoca la profezia della biodegradabilità del M5S, e anima le interpretazioni dei due schieramenti in guerra. Se da una parte Conte apprezza il richiamo a rientrare nei ranghi e ad abbandonare velleità personali che – agli occhi dei suoi fedelissimi – sembra tagliato su misura per il ministro degli Esteri, dalle parti della Farnesina, invece, si legge come un appello alla mediazione: «Se andremo avanti in questo scontro, il Movimento scomparirà. Serve una tregua, ma Conte non la vuole». Il leader pentastellato, in effetti, non sembra intenzionato a lasciar correre: «Niente rimarrà appeso», dice a chi lo contatta. «I confronti si faranno nelle sedi opportune». Un processo, dunque, ci sarà. E le accuse nei confronti del ministro grillino sono sul tavolo: «Non dimentico chi ha sabotato – spiega Conte -, chiudendo la porta del Quirinale a un profilo femminile. Il Movimento è nato per cambiare, non per proteggere lo status quo». Ma a Di Maio si rinfaccia anche l’aver lavorato alla costruzione di una sua corrente. E per Conte il correntismo «non deve esistere nella nostra comunità. Non voglio nemmeno più sentir parlare di “contiani” o altro», dice. «Le condotte che non sono in linea con i nostri principi e i nostri valori non sono accettabili».
I senatori M5S riuniti ieri chiedono un’assemblea interna affinché i due si chiariscano, ma Di Mario teme che Conte voglia trasformarla in un processo pubblico, in streaming. Diventerebbe una «gogna social», spiega un big del partito, non senza una dose di preoccupazione per gli effetti che avrebbe sui gruppi parlamentari. Ma dopo la sovraesposizione mediatica degli ultimi giorni, il ministro degli Esteri preferisce il silenzio per tessere al meglio la sua rete. Prima incontra il leghista Giancarlo Giorgetti al ministero dello Sviluppo economico, per comprendere meglio le intenzioni del ministro, che ha paventato l’ipotesi di dimettersi. I tempi di ogni mossa – ragiona Di Maio – devono essere pianificati e coordinati, per evitare che nell’effetto domino di un rimpasto vengano travolte anche le sue pedine. E nel frattempo inizia a sondare più seriamente i partiti di centro. Ieri è partito un giro di telefonate per raggiungere emissari di Italia viva, Coraggio Italia e Cambiamo – i tre partiti di centro che lavorano al progetto di federazione – per capire concretamente le prospettive politiche del loro progetto. E ogni telefonata portava un messaggio chiaro, quello della «stanchezza» del ministro, stufo dell’attuale situazione interna al Movimento.
Conte invece con un post su Facebook sprona i ministri M5S a «rispondere ai cittadini, non ad altri interessi, senza perdere tempo». Qualcuno lo legge come un’altra stoccata a Di Maio, ma c’è anche chi si chiede se non sia Conte il primo a dover intervenire, parlando con il premier per difendere le battaglie del Movimento. Un invito, insomma, a fare il leader, «non l’avvocato che prepara un processo». —