Altro che “opportunità”. Quando un inceneritore viene presentato come la soluzione per rilanciare un territorio, di solito significa una cosa sola: qualcun altro ha bisogno di fare cassa.

In Val Bormida sta andando in scena l’ennesima operazione mascherata da sviluppo: un termovalorizzatore venduto come impianto “moderno e non impattante”, mentre sullo sfondo si muovono interessi immobiliari, piani di liquidazione e grandi gruppi industriali.

La storia si ripete. Cambiano i nomi, non il copione. E questa valle lo conosce fin troppo bene.

Ferrania, Iren e il vero interesse in gioco

Dall’Ufficio del liquidatore di Ferrania Technologies si parla senza giri di parole: il termovalorizzatore sarebbe una “ottima opportunità” per le aree Ferrania. E non si nascondono i contatti con Iren, indicata come fortemente interessata alle aree della Marcella, considerate “strategiche” per collegamenti con l’autostrada, area industriale già definita e possibili sinergie con il biodigestore già presente.

Si aggiunge la solita frase di rito: “l’ultima parola spetta al Comune”. Ma insieme arriva la solita narrazione tranquillizzante: impianti “di ultima generazione”, “non impattanti”, “senza problemi”.

L’inceneritore come leva immobiliare e finanziaria

Il punto vero, però, è un altro: un inceneritore renderebbe più “vendibili” porzioni importanti di aree oggi difficili da collocare. Si parla di circa 100 mila metri quadri che, con quel tipo di destinazione, diventano improvvisamente appetibili.

Il quadro è legato a una procedura liquidatoria omologata dal Tribunale di Genova nel 2021, con parametri di vendita rigidi e una scadenza nel 2026 (con probabile proroga). Dall’Ufficio del liquidatore lo dicono chiaramente: non si può “svendere”. E infatti circolano prezzi tra 65 e 85 euro al metro quadro.

Tradotto: l’inceneritore non viene proposto come scelta ambientale, ma come acceleratore economico per chiudere una partita finanziaria e mettere a reddito terreni e capannoni.

Industria vera o scorciatoia?

C’è una differenza evidente tra le aree esterne al perimetro dell’ex Ferrania, dove si sono sviluppate realtà produttive (Cartiera Carrara, Zincol, Comparato), e le aree interne, che restano in larga parte ancora da collocare.

In questo contesto l’inceneritore appare come la scorciatoia più facile: non un progetto di reindustrializzazione, ma un’operazione che rischia di ipotecare il territorio per decenni.

Il paradosso Ferrania Chemicals

Mentre si parla di “opportunità”, una realtà produttiva reale come Ferrania Chemicals (45 dipendenti, alta competenza) vive difficoltà per carenza di commesse, tra cassa integrazione e incertezze sul futuro.

Qui servirebbero politiche industriali serie, investimenti mirati, visione. Non un inceneritore.

Chiamare le cose con il loro nome

Il termovalorizzatore non chiude il ciclo dei rifiuti. Produce ceneri e scorie, genera emissioni, vincola il sistema per decenni e spinge a trovare rifiuti da bruciare anche quando la raccolta differenziata cresce.

Non è sviluppo sostenibile: è un modello vecchio, costoso, e socialmente ingiusto.

Il termovalorizzatore non serve alla Val Bormida. Serve a chi deve chiudere una liquidazione, valorizzare aree invendibili, garantire ritorni economici certi a grandi operatori.

Il prezzo, come sempre, lo pagherebbero i cittadini: con la salute, con l’ambiente, con un futuro bloccato per decenni.

Chiamarlo sviluppo è un insulto. Chiamarlo opportunità è una mistificazione.

Dire NO all’inceneritore oggi non è una scelta ideologica: è l’unico atto di responsabilità possibile per una valle che ha già dato abbastanza.