
Oltre 13 mila firme in pochissimi giorni, peraltro con la vigilia, Natale e Santo Stefano di mezzo. La nuova richiesta di referendum sulla separazione delle carriere che ha spiazzato il governo sta mandando in tilt anche il sito del ministero della Giustizia, anche se raccogliere 500 mila firme on line resta un’impresa. Ma l’iniziativa pare ben avviata, e chissà se questa partenza sprint non induca il comitato del No presieduto da Giovanni Bachelet a ripensarci. E soprattutto chi vi ha aderito, a partire dalla Cgil ma anche Anpi e Arci, ossia le maggiori organizzazioni della sinistra, che nelle riunioni preparatorie del comitato del No hanno escluso di volersi impegnare nella raccolta firme. Forse anche per questo i 15 giuristi volenterosi di cui è portavoce lo storico avvocato dei sindacati di base, Carlo Guglielmi, hanno attivato un’iniziativa parallela depositando la richiesta di referendum popolare, nonostante le richieste di referendum già presentate per via parlamentare.
Quel che è certo è che se dovessero riuscire nell’impresa di raccogliere le 500 mila firme previste per la consultazione, i 15 assumerebbero uno status giuridico specifico e particolare che il comitato del No non avrà. Quale? Lo status di potere dello Stato, che comporta tra le altre cose la possibilità di difendere le ragioni del referendum di fronte per esempio alla Consulta o come il diritto di avere assegnati gli spazi in tv previsti durante la campagna di comunicazione istituzionale.
Impegnarsi nella raccolta firme non comporta particolari adempimenti: basta mettere a disposizione il proprio sito web (o la propria pagina sui social) con il link che rimanda alla piattaforma attivata dal ministero della Giustizia affinché i cittadini possano firmare con Spid o con Cie. Ma è una corsa contro il tempo e contro chi vorrebbe ulteriormente accorciarlo. “La Costituzione consente alla cittadinanza di promuovere una richiesta di iniziativa popolare per sollecitare la partecipazione consapevole e per sviluppare la campagna referendaria coi tempi più opportuni. Chiediamo al governo che venga rispettato il diritto di raccogliere le firme entro il 31 gennaio”. Così si è espresso Guglielmi rispetto alle voci fatte trapelare dal centrodestra sull’intenzione del governo di accelerare, fissando la data del voto all’inizio di marzo. Una forzatura, visto che la legge prevede che dal 30 ottobre, data di approvazione in Parlamento della riforma Nordio, c’è una finestra di 90 giorni utili alla raccolta delle 500 mila firme.
Poi c’è il passaggio dall’ufficio centrale della Cassazione (che ha a disposizione 30 giorni) dopo di che il decreto di indizione fissa il voto tra il 50esimo e il 70esimo giorno. Tradotto, è escluso che si possa votare già il 1° marzo.
