

Un tempo attraversare sulle strisce era un diritto. Oggi è una prova di sopravvivenza urbana. Il pedone, specie in Liguria, è diventato l’ospite tollerato di una strada che appartiene a tutti tranne che a chi va a piedi.
Le regole? Ci sono. Le campagne? Pure. Ricordate le manciate di punti tolti a chi non rallentava davanti alle zebre? Ricordate la stagione – breve e molto fotogenica – in cui la Municipale a Genova faceva “educazione civica” a suon di multe, anche in borghese, per chi non intuiva al volo che un pedone stava per attraversare? Ecco: una parentesi perfetta per le telecamere. Poi, come ogni moda, archiviata.
Nel frattempo contiamo i morti. La settimana appena trascorsa ha visto la morte di due pedoni: una studentessa a Savona e un musicista a Genova. Dinamica simile: attraversavano, non sono stati visti. Evidentemente il pedone non rientra nel campo visivo del traffico moderno, dominato da Tir nei centri urbani, furgoni in doppia fila, scooter sulle strisce e auto col piede pesante anche davanti alle scuole.
Durante l’omelia per Valentina Squillace, il parroco don Magnano ha parlato chiaro, chiedendo alle istituzioni “scelte nette” sul traffico pesante a Savona. Giusto. Peccato che le scelte nette siano impopolari: limitare davvero i mezzi pesanti nei punti più critici, imporre regole di accesso e fasce orarie, ridurre la velocità, aumentare i controlli, mettere in sicurezza attraversamenti e percorsi pedonali.
E qui sta la responsabilità della politica. Perché una cosa è certa: se volessero, potrebbero. Ma servirebbero decisioni che scontentano qualcuno. E in Italia quel qualcuno è un elettorato enorme, il più grande e il più trasversale di tutti: il partito dell’automobile.
Così succede che il pedone diventa l’animale debole della catena: deve fare attenzione ai Tir, ma anche a chi sorpassa al semaforo, a chi parcheggia “solo un minuto” sulle strisce, alle buche, alla segnaletica sbiadita, alle velocità fuori controllo. In pratica deve arrangiarsi. E se va male, si dirà che è stata una fatalità.
No: non è fatalità. È un modello di mobilità che non tutela più chi cammina e una politica che troppo spesso preferisce lo spot alla continuità. Il pedone non chiede privilegi: chiede di non essere trattato come un ostacolo. Chiede che le strisce tornino a significare una cosa semplice: qui si passa in sicurezza.
Finché questa priorità non diventerà reale – non un titolo da campagna elettorale – continueremo a contare tragedie evitabili. E a scoprire, ogni volta, che la “giungla urbana” non è una metafora: è un programma politico non dichiarato.
