Conte nell’arena della destra si tiene mani libere a sinistra

alessandro de angelis
roma
Ci diciamo: andiamo sentire un po’ che dice Giuseppe Conte ad Atreju, dopo che questa settimana l’ha sparata grossa sull’Europa. Da cartellino rosso. Ma il Pd, si sa, è poco esigente.
Eccoci, sala stracolma. Sorpresa: di Europa e Trump qui manco se ne parla, perché non gli viene neanche chiesto. Ops, tocca cambiare pezzo (ma fino a un certo punto, vedrete perché). L’articolo diventa su come – con quale armamentario politico – il leader pentastellato combatte gagliardamente nell’arena. Perché di questo si tratta: un’intervista che non è un’intervista, perché più che domande ci sono obiezioni politiche; un conduttore, Tommaso Cerno, che è un agit prop perso tra il proprio Narciso e il delirio adulatorio verso Giorgia Meloni e parla più dell’ospite; una sala che contesta ogni risposta. Per darvi un’idea del clima alla festa del primo partito italiano: a un certo punto spunta a un lato del palco Giovanni Donzelli che, rivolto alla sala, si sbraccia per dire «calma, lasciamolo parlare». Insomma, invitano uno per dire «quanto siamo democratici», poi lo accolgono come un tifoso della Roma nella curva della Lazio nel giorno del derby.
Bene, la notizia è che Conte, sotto la pochette e il panciotto, pare un leone. Primo, tiene una calma olimpica pure quando gli viene chiesto per dieci minuti quali «magagne» siano state nascoste sul Covid, nel giubilo dei no vax in sala. Oppure, sentite questa, se ha intenzione di allearsi coi partiti islamici (sic! ). Roba da dire: chiamate uno specialista bravo, io vado a comprare i panettoni. Secondo, e qui c’è l’indicazione sostanziale: risponde non col politicamente corretto ma, si sarebbe detto una volta, “a brigante, brigante e mezzo”. Aggiorniamolo: a populista, populista e mezzo. Di sinistra, campo largo, alternativa, chiamatela come volete c’è poco o nulla. È un Conte show, con la sua capacità camaleontica, inafferrabile sul tema delle alleanze, incatalogabile nello schema destra-sinistra. Che si gioca la sua partita con assoluta libertà, di vedute e azione.
La sequenza sull’immigrazione dice tutto. Gli si dice che l’Albania serve – sentite pure questa – per «superare il sistema Soumahoro» e per far capire che qui non sono graditi (questo s’era capito). Mica risponde coi valori dei vescovi, ma, citando il Conte 1, il Conte 2, il Conte forever, col «con me gli sbarchi erano più contenuti», altro che «blocco navale» (ricordiamo che, per i distratti, il Conte 1 rivendicato era quello dei porti chiusi di Salvini, una barbarie). Alé. E poi rivendica pure che, ai suoi tempi, “Angela” (Merkel) ci provò a trasformare l’Italia nell’hub europeo per i migranti, ma trovò un muro perché allora «l’Italia non si fece espropriare dalla sovranità», mentre ora c’è un colabrodo. Cita «l’onore», la «schiena dritta», il vero patriottismo e, nello scavalcamento a destra, rifaccia agli astanti pure il decreto flussi per 500 mila migranti fatto da chi predicava la «sostituzione etnica». Perché con quel decreto, a proposito di islamici, mica arriva «gente bionda e cattolica». Alé.
Vabbè, facciamola breve. È tutto così, sui vari terreni, compreso, e non è un dettaglio, sul patto di Stabilità che, ovviamente, lui, sempre in nome dell’onore dell’Italia, non avrebbe accettato con cotanta arrendevolezza. È il tentativo di sfidare la destra sul suo terreno. Ne vuole sfruttare le contraddizioni. E, più in generale, recuperare quell’originalità che aveva il movimento dei tempi d’oro quanto prendeva voti (a destra) su sicurezza e anti-europeismo e a sinistra su giudici e questione morale. I sondaggi dicono che un pezzo di quell’elettorato è nel sonno dell’astensione e l’ambizione neanche tanto dissimulata è di risvegliarlo.
Poi, solo poi, se ci sono le condizioni, si arriva al tavolo col Pd per negoziare assetto, programmi e guida. Sentite come la mette in materia: «Noi siamo disponibili a dialogare. Se verrà fuori una alleanza dipenderà solo dai programmi e se ci sono le nostre battaglie di sempre. Il candidato e i criteri di scelta vengono dopo». Se ne parlerà il prossimo autunno, dopo una lunga campagna d’ascolto nel Paese. Avete capito bene? Non è proprio il film che proiettano al Nazareno. Quello di un’alleanza ormai scontata, poi le primarie, e tutti assieme appassionatamente.
Insomma, tutto chiaro. Più il Pd gli perdona tutto, compresa la sparata da fine mondo sull’Europa e Trump a proposito di Ucraina, più lui ritrova un ubi consistam recuperando la sua identità profonda e la caratura da leader. E alla fine: giro tra gli stand tra strette di mano e selfie. L’anno scorso qui non lo aveva fatto. Non è un caso. —
