DA ATREJU A MONTEPULCIANO L’ATTIVISMO DELLA SEGRETARIA SCAVA UN SOLCO CON IL LEADER M5S 

Alessandro de Angelis
Roma
Già la vicenda di Atreju aveva scavato un solco tra Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Se al Nazareno l’hanno vissuta come uno sgarbo – per la serie: «ha giocato di sponda con Giorgia Meloni» – lui l’ha vissuta come uno sgarbo al cubo. Il ragionamento suona così: io lì ci sono andato a confrontarmi sin da quando ero premier, peraltro dopo che mi avevano fatto una manifestazione sotto palazzo Chigi; andai anche lo scorso anno, quando Elly rifiutò sdegnosamente l’invito; e avevo già accettato quest’anno. E lei che fa? Si mette a maramaldeggiare in casa altrui per far vedere che la leader è lei. 
Ad aggravare il quadro poi sono arrivate le parole pronunciate sempre dalla segretaria del Pd la sera da Formigli. Quel «se deve venire Conte, allora porti Salvini». Immaginare che effetto faccia, soprattutto a chi non difetta di autostima, essere paragonati a dei comprimari, saltando un bel po’ di passaggi. Perché se l’uno, da quella parti, è uno junior partner, anche piuttosto in decadenza, di uno schieramento consolidato e con un capo affermato, qui è tutto da costruire, tanto lo schieramento quanto la leadership. 
Se possibile, Montepulciano quel solco lo ha approfondito, sempre per le medesime ragioni. Ormai il leader dei Cinque stelle ha acquisito una cerca dimestichezza con le logiche del Pd. E ha ben compreso il nocciolo della questione, coperto dalla classica ritualità e della gergalità d’antan del “grande partito”. E il nocciolo è uno scambio tra Elly e i capicorrente – peraltro parecchi erano ministri con Conte – che hanno fatto massa critica e negoziale: noi ti sosteniamo, per l’oggi e per il futuro come nostra candidata premier, tu ci garantisci agibilità politica, ovvero posti in lista. 
Ecco, la segretaria del Pd è entrata nel “trip” di palazzo Chigi. Invece di ritagliarsi per sé il ruolo di regista di un campo, è solo protesa alla costruzione della sua leadership. Fare i conti con Conte, significa misurarsi col rapporto che c’è tra desiderio e realtà. Chi ha parlato con l’ex premier racconta che è piuttosto infastidito da questa accelerazione, peraltro molto politicista nella discussione: si parla di candidato per palazzo Chigi quando ancora non si sa con quale sistema di voto si andrà alle urne, si parla di “primarie” quando manca un anno e mezzo alle “secondarie”, che sono quelle che contano, si dà per scontata la coalizione senza parlare di uno straccio di tema. Insomma, Elly, questa l’analisi, «sta anteponendo l’ambizione al progetto». 
Ed effettivamente c’è del vero nella fotografia. Ad Atreju la segretaria del Pd ha cercato la legittimazione mediatica, a Montepulciano quella interna. Dopo le regionali quella nel paese attribuendosi la vittoria (in verità un pareggio). Lo si è visto la sera dei festeggiamenti, quando si è precipitata a Napoli per abbracciare Fico prima di Conte. Vittoria che il leader pentastellato sente molto sua, anche per abilità manovriera sin da quando chiuse l’accordo con De Luca e disse subito di sì a Decaro, a tenzone con Michele Emiliano ancora aperta. 
La sensazione è che più lei gioca per sé, più l’altro si irrigidisce. Fare i conti con Conte significa non dare per scontato ciò che scontato non è. Le sue ambizioni, ma anche le necessità di una forza politica che ha un bisogno esistenziale di mantenere margini di autonomia, perché, come ama ripetere, «se vengo percepito come un cespuglio di un novello Ulivo siamo morti». 
Tradotto: dire di sì oggi al modello coalizione, primarie, candidato significa consegnarsi al partito maggiore, cosa che ha un costo elettorale. E vedrete che, di qui a quando sarà finita la sua campagna d’ascolto sul programma nel paese, il leader pentastellato manterrà una ambiguità sugli assetti finali e terrà un profilo molto identitario perché «questo è il momento di mettere fieno in cascina, poi vedremo come fare il consorzio». 
Se cercate un’indicazione di quel che ha in testa, ripensate a come ha gestito le regionali. Lì non hai mai detto «candidiamo quello del partito con più voti», ma «quello più competitivo». Categoria nella quale, pur dissimulando, annovera se stesso. Dissimulando molto. Perché sa, a differenza di Elly Schlein, che se vuoi uscire Papa, i conclavi non si anticipano. —