IL GRUPPO CONTROLLATO DA ASCHERI E MCOM SOFFRE LA CONCORRENZA SUL MERCATO GLOBALE DELL’INDIA E DELLA CINA 

MAURO CAMOIRANO
CAIRO MONTENOTTE
Italiana Coke, ora l’attenzione è tutta per il 1° dicembre, quando il consulente esterno, nominato dalla Camera di Commercio, dovrà asseverare il piano di rientro presentato dall’azienda nell’ambito della procedura negoziata. 
Con la chiusura della Centrale Tirreno Power e il blocco ormai da oltre 6 anni delle Funivie, l’Italiana Coke rimane, in pratica, l’ultimo baluardo di quella visione che aveva portato l’allora presidente della Regione, Claudio Burlando, ad accentrare nel Savonese la filiera del carbone. La cockeria di Bragno è un punto di riferimento europeo per le industrie metallurgica, automotive (freni auto) la produzione di materiali coibenti per edilizia, e per la chimica. L’impianto di cogenerazione, inoltre, produce ogni anno 150 milioni di chilowattora di energia elettrica. Dà lavoro a 230 addetti diretti, più l’indotto. 
Alla guida dell’azienda la famiglia Ascheri – con Augusto e il figlio Paolo, divenuto, da marzo, amministratore delegato prendendo il posto di Paolo Cervetti – che controlla il 63, 1% delle azioni. Una scalata iniziata nel 1994, con una quota di minoranza, per poi conquistare, nel 2007 il controllo totale, oggi condiviso con l’inglese Mcom Investments Ltd. , che detiene il 38, 7%. 
Il momento più buio nel 2015: la società, con una sofferenza intorno ai 76 milioni di passivo – verso banche e fornitori – deve ricorrere al concordato di continuità, poi chiuso nel 2021, pur lamentando ancora situazioni debitorie. L’azienda, però, sembra aver la forza di riprendersi, tanto appunto, da chiudere il concordato. Intanto, però, subentra una serie di fattori negativi concomitanti: il blocco di Funivie; la flessione del mercato globale del carbone; la bocciatura di filoni complementare come ad esempio l’utilizzo di materie prime seconde. E, questione a parte, le tematiche ambientali, che portano l’azienda a controbattere a decisioni e prescrizioni arrivando sino alla sentenza contraria del Consiglio di Stato sui monitoraggi continui ai camini; costringendo l’azienda anche a corposi investimenti. Ciò nonostante l’azienda “regge”. 
Poi il nuovo impasse, dovuto, spiegano dalla stessa società, «a scelte sbagliate da parte del precedente management», ovvero la decisione di affiancare alla produzione classica di coke da fonderia, anche quella di coke siderurgico dove, però, era impossibile resistere alla concorrenza cinese. Ciò causa surplus nei magazzini, problemi di cassa, ed un aggravarsi, nuovamente, della posizione debitoria. 
A quanto pare, dopo il bilancio del 2024 chiuso con un utile superiore ai 5 milioni, quello chiuso a giugno 2025 registra una perdita di esercizio di più di 8 milioni; debiti con le banche per 7 milioni e mezzo, e soprattutto 35,8 milioni di debiti con i fornitori di servizi. 
All’orizzonte scenari ben poco rassicuranti, con anche l’ipotesi di chiusura di due batterie, poi evitata grazie ad un contratto triennale, in crescita, conquistato sul mercato statunitense. Ma che da solo, se non altro per i maggiori costi di trasporto, non basta. Da qui la necessità, appunto, di ricorrere alla procedura di composizione negoziata che consente all’imprenditore che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, di perseguire il risanamento dell’impresa con il supporto di un esperto esterno che agevoli le trattative con i creditori.
Esperto che, prima di tutto, dovrà confermare la credibilità del piano di rientro proposto dall’azienda che, tra le altre cose, individua una decina di esuberi. Procedura che riguarda soprattutto il debito contratto con i fornitori, visto che per quanto concerne il debito con le banche, la proprietà sta acquisendo dalle banche stesse l’80% dell’esposizione; operazione interpretata come un tangibile segnale che la stessa proprietà crede nel risanamento. 
Ed è quello che auspica anche il sindaco di Cairo, Paolo Lambertini, che però ribadisce: «Non faremo un solo passo indietro sulla questione ambientale. Che significa pretendere innanzitutto una tutela per il territorio e far capire comunque alla società che solo investendo in tal senso, e ammodernandosi, potrà rimanere competitiva». 
Insomma per Italcoke ci sono da un lato le difficoltà a stare su un mercato globale dove le società concorrenti di India o Cina producono a prezzi inferiori e senza dover rispettare troppe garanzie dal punto di vista ambientale dall’altro gli obblighi con cui da sempre si deve misurare l’imprenditoria che opera nei Paesi europei, rispettosi sia delle direttive sull’ambiente sia delle necessarie tutele per i lavoratori. Una sfida difficile per uno degli ulltimi pezzi dell’industria savonese. —