RICAVI CRESCIUTI DEL 12%, NEL MIRINO L’EQUILIBRIO CON LE PRESTAZIONE PUBBLICHE

Paolo Russo
RoMA
Il doppio lavoro dei medici pubblici produce sempre più ricavi, anche se poi a presentare la parcella sono di anno in anno meno camici bianchi. Peccato che a mangiarsi la fetta più ricca dei ricavi della libera professione siano però spesso i “professori” chiamati a dirigere ambulatori e reparti. Magari con l’obiettivo di ridurre le liste di attesa, che si fatica ancora oggi a far regredire.
È il quadro di sintesi che emerge dalla Relazione inviata in piena estate dal Ministero della Salute al Parlamento sulla cosiddetta Alpi, l’attività libero-professionale intramuraria svolta dai dottori nel 2023. Un documento di 118 pagine passato sotto silenzio anche perché scritto più per esperti del settore che per gli assistiti e magari per gli stessi medici che, per scelta o perché stritolati dall’emergenza dei pronto soccorso, lavorano nel pubblico senza arrotondare nel privato. E che per questo sarebbero curiosi di vedere quanto guadagnano i colleghi che saltellano da una parte all’altra della staccionata.
Eppure la Relazione di cose interessanti ne rivela, tanto che ora la Ragioneria generale dello Stato ha deciso di vederci chiaro per capire se c’è una correlazione tra attività privata dei medici e liste di attesa. Di cose che non tornano ce ne sono diverse, come il fatto che appena la metà delle Regioni, 11 su 20, vede tutte le proprie aziende sanitarie ed ospedaliere adempiere all’obbligo di pianificare l’attività libero-professionale rispetto a quella istituzionale pubblica, che per legge non dovrebbe mai risucchiare più tempo di quella privata. Come le stesse relazioni al Parlamento del passato hanno rilevato eventi verificatosi invece in più di una struttura sanitaria. Per non parlare delle recenti indagini dei Nas, che tra le irregolarità più frequenti hanno rilevato quella degli appuntamenti privilegiati fissati ai pazienti solventi, oppure il caso dei dieci oculisti toscani finiti sotto inchiesta per “saturazione dolosa delle liste di attesa con fittizie prenotazioni”. 
Entrando nello specifico, nel 2023 l’attività “intramoenia” dei camici bianchi ha portato ricavi per un miliardo e 286 milioni, confermando un trend in costante crescita, con un incremento del 33% nel 2021 (dato che potrebbe risentire anche della “pausa Covid”), un ulteriore salto in avanti del 10% l’anno successivo e un più 12% due anni fa, ultimo dato disponibile. A questa cifra poi bisognerebbe aggiungere i 240 milioni accumulati dal 2021 al 2023 per attività di consulenza con istituzioni sociosanitarie pubbliche o anche non sanitarie, che registrano anch’esse un incremento del 21% in tre anni.
Come sempre quando si parla di sanità, anche per il doppio lavoro dei medici le cifre variano sensibilmente da Regione a Regione. In termini di spesa pro-capite, l’intramoenia nel 2023 vale 21,8 euro per ogni cittadino residente in Italia (contro i 20 del 2022). Ma a parte che si tratta di una “media del pollo”, che ricomprende anche la larga maggioranza degli italiani che né fanno visite né si ricoverano, la situazione è comunque estremamente variegata sul territorio nazionale, con forti discrepanze tra Nord e Sud del Paese. In particolare, nel 2023, i picchi maggiori si registrano in Emilia-Romagna (37,8 euro pro-capite l’anno), Valle d’Aosta (33,9 euro), Piemonte (31 euro), mentre è in generale significativamente inferiore alla media nazionale nelle Regioni meridionali, pur essendo cresciuta in tutte le Regioni rispetto all’anno precedente.
Complessivamente però, se i ricavi salgono, il numero di medici che esercita la libera professione cala. Erano 51.950 nel 2015, pari al 43,7% del totale, sono diventati 43.804 nel 2023, scendendo così al 37,9%. Non è così per i Professori universitari che indossano il camice, perché ad esercitare l’Alpi era ben il 60% venti anni fa e altrettanti sono oggi. La Relazione questo non lo dice, ma è probabile che percentuali simili si riscontrerebbero anche andando a cercare i Primari in genere, a prescindere dalla loro appartenenza o meno all’Università. Insomma, ad essere “distratti” da visite e interventi privati sarebbero proprio coloro chiamati a riorganizzare i servizi con l’intento primario di accorciare le liste di attesa, che determinano una fetta preponderante dei 40 miliardi di spesa privata e che spingono ogni anno quasi sei milioni di italiani a rinunciare alle cure. —