Intelligenza Artificiale per curare l’emicrania con le giuste terapie


Federico Mereta 
Non uccide. Ma non lascia vivere. Per chi soffre di emicrania, gli attacchi che si ripetono diventano una minaccia per il benessere, anche oltre le crisi. E c’è bisogno di assistenza. Di ottenere risposte. Di avere terapie e strategie di prevenzione degli attacchi mirate per il singolo caso. Insomma, di fare riferimento a strutture specializzate come i Centri Cefalea. Ce ne sono 81 in tutta Italia, e forse, per limitare le liste d’attesa, in futuro un aiuto potrebbe venire dall’Intelligenza Artificiale. 
Lo hanno prospettato gli esperti presenti al congresso nazionale della Società Italiana per lo studio delle cefalee (Sisc) tenutosi a Parma. Grazie a un programma voluto da Marina De Tommaso, ordinaria all’università di Bari e presidente Sisc e da Franco Granella, docente presso l’Unità di Neuroscienze dell’università di Parma, si sta alimentando un sistema di AI generativa con i dati di migliaia di pazienti per velocizzare l’operato del medico. L’AI, combinando i valori di una serie di biomarcatori (segni clinici, parametri delle analisi del sangue, di elettroencefalogramma e tecniche radiologiche) “suggerisce” in pochi secondi quali sono i farmaci con la maggiore probabilità di successo nel singolo malato di emicrania. Poi la parola passa al medico.
Al momento, l’accordo tra quanto proposto dall’Intelligenza Artificiale concorda con il parere del medico per il 71%. Ma più dati si aggiungeranno, più crescerà la precisione del sistema. E magari il sistema potrebbe aiutare, oltre che a limitare le attese, anche a indirizzare con ancor maggiore precisione le terapie. Esistono almeno quattro classi di farmaci, oltre a quelli “tradizionali”, che lo specialista può scegliere, magari anche integrandole con il supporto di tecnici: psicologi, ginecologi, terapisti del dolore, chinesiologi, fisioterapisti. 
L’importante, quindi, è trovare caso per caso il trattamento più indicato. Anche perché oggi circa 7 persone con emicrania su 10 possono avere una vita senza crisi grazie ai farmaci di nuova generazione. E se questi non bastano, integrandoli con le terapie non farmacologiche, si raggiunge l’85% di successi terapeutici. «Stiamo assistendo ai risultati concreti del vero e proprio salto evolutivo fatto dalle terapie contro l’emicrania in questi anni – è il parere di De Tommaso – da quando sono stati chiariti i meccanismi del dolore e scoperti farmaci mirati capaci di intercettare o bloccare il CGRP, peptide chiave nel meccanismo del mal di testa: triptani, ditani, anticorpi monoclonali e gepanti. L’importante novità di quest’anno è stata l’introduzione e la rimborsabilità di due nuove molecole di gepanti da assumere – fatto importante – per via orale a casa: l’atogepant e il rimegepant. Quest’ultimo, in particolare, è in grado non solo di spegnere il dolore ma anche di prevenire gli attacchi di emicrania».
Attenzione però. Non bisogna credere che i farmaci di nuova generazione siano efficaci per tutti. Dagli esperti, tuttavia, arrivano indicazioni di speranza anche per chi non trova la risposta nelle terapie più moderne. In q uesto senso, va ricordata la tossina botulinica: iniettata in minime quantità in specifici punti della testa, del collo e delle spalle dimezza il numero e l’intensità degli attacchi. Tecnica altrettanto importante, in pieno sviluppo, è poi la neuromodulazione mediante campi elettromagnetici ad azione transcranica: anche in questo caso si può ottenere una riduzione dell’impatto della patologia. E non bisogna dimenticare i trattamenti fisioterapici mirati, secondo metodiche diverse, così come le tecniche di mindfulness. 
«Se si considera la possibilità di integrare con queste tecniche le terapie farmacologiche, oggi come oggi possiamo affermare di essere in grado di trattare in modo soddisfacente, garantendo loro una vita normale e non ossessionata dal dolore, una percentuale davvero alta di pazienti» segnala Innocenzo Rainero, presidente eletto della Sisc e Ordinario di Neurologia presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino. 
L’importante, quindi, è non rassegnarsi di fronte a una patologia che colpisce circa il 18% delle donne, il doppio rispetto agli uomini. Nella vita fertile si può salire anche intorno al 25% di giovani che ne soffrono e, come se non bastasse, nella donna gli attacchi tendono a essere più severi e lunghi. Per questo occorre fare riferimento allo specialista. Per trovare la soluzione ottimale. Caso per caso. —