Non è solo una questione tecnica. È una questione politica… e di buon senso

Quando si parla di inceneritore in Val Bormida, qualcuno prova ancora a presentare il progetto come un’esigenza “tecnica”. Certo: come no. È un po’ come dire che il problema della neve a ferragosto è “meteorologico”. Tecnicamente vero, ma totalmente fuori dal mondo.

La verità è che qui non lo vuole nessuno. Non lo vuole Genova, non lo vuole Savona, non lo vuole Cairo. E ogni volta che si avvicina una scelta scomoda… ecco che parte lo scaricabarile geografico.

Un territorio che ha già dato (e ridato)

La Val Bormida ha una storia industriale che sarebbe materiale perfetto per una serie televisiva: Montecatini, ACNA, Cokitalia. Manca solo il titolo, perché il resto – inquinamento, malattie, bonifiche infinite – purtroppo c’è già stato.

E dopo tutto questo, quale grande idea arriva dalla politica regionale? Un inceneritore. È un po’ come regalare una griglia a chi ha appena spento un incendio in casa: raffinato, ma fuori luogo.

Le ceneri tossiche del Gerbido di Torino, arrivate “per sbaglio” e dimenticate in un capannone a Bragno, sono ancora lì a prendere aria. Un promemoria concreto di cosa significhi davvero “gestire” i rifiuti prodotti da un inceneritore.

La fretta improvvisa dei decisori

Oggi sembra che tutti abbiano una grande urgenza: “risolvere l’emergenza rifiuti genovese”. Domanda ingenua: ma per anni cosa si è aspettato? Il segnale divino? L’allineamento dei pianeti?

Raggiungere il 65% di raccolta differenziata a Genova significherebbe circa 40.000 tonnellate in meno di rifiuto indifferenziato ogni anno. Ma evidentemente era più semplice far finta di niente e poi provare a scaricare il problema a oltre 100 km di distanza, in una valle già martoriata.

Inceneritori: grandi promesse, piccoli risultati

I numeri parlano chiaro. L’impianto del Gerbido, vicino Torino, trattando 440.000 tonnellate di rifiuti in un anno ha prodotto circa 113.000 tonnellate di ceneri: un “souvenir” tossico che nessuno vuole nel proprio giardino.

Per far funzionare questi impianti servono:

  • milioni di metri cubi di metano e acqua,
  • camion su camion che trasportano rifiuti e reagenti,
  • emissioni di CO₂, polveri sottili e microinquinanti.

In cambio, il territorio cosa ottiene?

  • pochissimi posti di lavoro,
  • nessun vero indotto,
  • deprezzamento degli immobili e perdita di attrattività.

Un “affare” perfetto, se si guarda tutto dal punto di vista sbagliato.

La politica intermittente: la valle esiste solo in campagna elettorale

La Val Bormida, per molti decisori, esiste ogni cinque anni. È il classico territorio che torna improvvisamente centrale quando servono voti, firme, consensi, e torna subito invisibile quando si tratta di bonifiche, investimenti, servizi, mobilità.

Adesso riappare sulla mappa non per portare opportunità, ma per piazzare un impianto che nessuno vuole. Una scelta “strategica”: il problema è altrove, la soluzione si cerca dove si pensa che la popolazione pesi meno.

La grande lotteria delle compensazioni

Siamo entrati nella fase della “lotteria delle compensazioni”. Invece di premiare i comuni virtuosi, si premiano quelli disposti ad accettare un termovalorizzatore. Una logica brillante: chi ha inquinato e organizzato male la raccolta resta sostanzialmente impunito, chi accetta di sacrificare il proprio territorio viene “compensato”.

Manca solo il televoto in prima serata, poi il format è completo.

L’alternativa seria: l’economia circolare

La vera alternativa esiste, funziona e porta valore reale, non solo fumo in più in atmosfera. Si chiama economia circolare e significa:

  • ridurre la produzione di rifiuti,
  • puntare sul riuso e riparazione,
  • rafforzare la raccolta porta a porta ben organizzata,
  • investire in impianti di selezione, compostaggio e digestione anaerobica,
  • creare centri di raccolta e remunerazione dei materiali (CRRM),
  • costruire vere filiere del riciclo sul territorio.

Questa è economia che crea lavoro, innovazione e salute. Bruciare rifiuti non è “transizione ecologica”: al massimo è una scorciatoia per oggi che lascia il conto alle prossime generazioni.

Conclusione: la Val Bormida deve essere protagonista, non bersaglio

L’idea che la Val Bormida debba “fare la sua parte” ospitando un inceneritore è semplicemente inaccettabile. La valle ha già fatto più della sua parte, per decenni.

La sua vocazione naturale è un’altra: ambiente, turismo, agricoltura di qualità, manifattura pulita, innovazione. Non l’ennesimo camino che brucia rifiuti prodotti altrove.

La domanda vera è: chi avrà il coraggio di assumersi la responsabilità politica di devastare – di nuovo – la Val Bormida contro la volontà dei cittadini?

La risposta, se c’è ancora un minimo di buon senso, dovrebbe essere una sola: nessuno. La Val Bormida ha già dato abbastanza. Adesso ha diritto a un futuro, non a un altro inceneritore.