
mauro camoirano
cairo montenotte
Il cambio di rotta sull’ipotesi termovalorizzatore in Val Bormida scatena l’ira degli ambientalisti: «Un impianto del genere non potrà mai essere green, ma è un’ipoteca sulla salute e sul futuro della valle. I dati dell’impianto di Torino lo confermano». Un cambio di rotta, pur senza formalizzare nulla, è evidente: non solo dalle sempre più pressanti prese di posizione del centrodestra provinciale e regionale, ma anche dal tavolo tecnico andato in scena venerdì. In esso, si è annunciata l’organizzazione di un convegno finalizzato «ad un approfondimento che affronterà in maniera organica i diversi aspetti connessi alla realizzazione dell’impianto di fine ciclo». L’impressione è che il succo del convegno sarà, alla fine, un concetto molto semplice, ossia «il gioco vale la candela».
Interpretazione condivisa anche dal «Coordinamento per il no», che dichiara: «Come di consueto apprendiamo dagli organi di stampa decisioni prese a tavolino da alcuni amministratori che, pur di dare forma a un’idea vuota, si prodigano a rivestirla di una patina green. Definire «verde» un impianto che brucia rifiuti è un insulto all’intelligenza dei cittadini. I dati tecnici sul Gerbido di Torino lo dimostrano: nel solo 2016, con 440 mila tonnellate di rifiuti trattati, ha prodotto 113 mila tonnellate di ceneri tossiche (il 25%), oltre a 8 milioni di metri cubi di metano bruciati, e 1 miliardo di litri d’acqua prelevati dalla falda contaminata da 50 sostanze chimiche. Numeri smentiscono ogni retorica sulla sostenibilità».
Parole dirette e mirate ai sindaci: «Chiediamo al Presidente della Provincia e ai primi cittadini che si stanno compattando in tale direzione, dopo aver manifestato contrarietà in prima battuta, se i loro concittadini saranno contenti di vendere castagne, funghi e tartufi alla diossina». Le associazioni ambientaliste ricordano, poi, come «diciannove sindaci della Val Bormida, nel documento congiunto del 20 febbraio 2025, hanno espresso unanime contrarietà al termovalorizzatore. Ci piacerebbe sapere chi oggi ha cambiato idea, rinnegando quella firma e tradendo l’impegno preso davanti ai cittadini».
Il Coordinamento annuncia quindi prossime assemblee pubbliche a Calizzano e a Cairo. Rimanendo sempre nel campo delle impressioni, la percezione è che il fronte del «No», per quanto ricco di associazioni e con assemblee molto partecipate dai cittadini, difficilmente potrà spostare l’ago della bilancia. La vera alternativa alla Val Bormida per tale impianto potrebbero essere, invece, le scelte che si faranno su Scarpino. La location genovese pare abbia fatto un balzo in avanti, perché l’ottica è già quella di un polo impiantistico al di là della semplice discarica tra l’altro destinata ad andare ad esaurimento. Si parla di 5-6 anni (e per realizzare il termovalorizzatore ne servirebbero 5) e con costi di mantenimento rilevanti. Senza contare il fattore distanza, e quindi i costi. Proprio Genova è la zona che, più indietro con la differenziata, ha maggiormente bisogno di un simile impianto. Non deve essere però troppo distante. Anche per tale ipotesi però, ci sono evidenti resistenze interne.
Secondo indiscrezioni e rumors, la zona di Scarpino sarebbe, quindi, in pole position. Nel caso non si chiudesse quella partita, al secondo posto ci sarebbe il Savonese, e nello specifico Cairo Montenotte. L’area, sempre secondo voci non confermate, potrebbe essere nelle vicinanze dell’Italiana Coke il cui futuro è, del resto, direttamente o indirettamente collegato a questo complicato puzzle. —
