
I fischi a Schlein domenica alla Festa del Fatto quotidiano, pubblico con il cuore vicino ai 5 stelle, dimostrano che la politica estera, e in particolare gli aiuti in armi all’Ucraina, una nuova tranche dei quali sta per essere riproposta in Parlamento, rappresentano l’ostacolo maggiore alla ricostruzione di un’alleanza di centrosinistra. La segretaria del Pd li ha incassati con l’eleganza e la pazienza dei leader (Fanfani, ed era Fanfani, alla fine della sua carriera diceva: se non avessi sopportato i fischi, oggi non sarei qui). E ha svicolato dall’Ucraina a Gaza, sapendo che la difesa dei palestinesi accomuna il suo partito al Movimento molto più che gli attacchi a Putin.
Malgrado il peso che ha, non sarà una divergenza del genere a fermare l’accordo nelle sei maggiori regioni in cui si vota, Pd e 5 stelle si presentano alleati anche dove M5S stava all’opposizione, e ha ottenuto così i candidati governatori in Campania (Fico) e Calabria (Tridico), non senza mugugni di Avs, l’alleanza Verdi-Sinistra che rappresenta la terza componente della coalizione e si aspetta qualche compensazione per il futuro.
Conte del resto sta conducendo il progressivo avvicinamento al «campo largo» con la cautela motivata dall’atteggiamento “di pancia” dei suoi elettori, che, ritiene, richieda un gradualismo fatto di piccoli passi che possono andare in una direzione o nell’altra. Ecco perché ripete che non c’è alcun accordo nazionale e si tratta solo di patti locali. Affermazione che al momento Schlein deve digerire, in attesa dei risultati delle regionali. Se la partita si dovesse chiudere 4 a 2 per il centrosinistra, risultato in cui entrambi i leader sperano, il lavoro di trasformazione dell’alleanza al livello nazionale sarebbe più facile. E viceversa.
Resta il fatto che la politica estera – sulla quale, va detto, si registrano forti differenze anche nel centrodestra, seppure non nelle votazioni che riguardano il governo – è il cemento più solido di una coalizione. E se Schlein – ammesso che Conte glielo consenta – intende davvero provare nel 2027 a candidarsi al posto di Meloni, oltre a prendere fischi con disinvoltura dovrà trovare il modo di convincere gli alleati pentastellati a sottoscrivere un programma di politica estera all’altezza della situazione. —
