La frase che è la foto dei progressisti nel settembre 2025 la dice presto, pochi minuti dopo essere salito sul palco della festa del Fatto: “Noi del M5S e il Pd non siamo alleati. Ogni giorno lavoriamo in tutte le regioni per contrastare questa destra estremista, ma saremo alleati solo quando convergeremo sul progetto progressista, nero su bianco”. Pensieri e parole di Giuseppe Conte, in una mattinata di nuvole e afa a Roma. Nelle scorse settimane il leader dei 5Stelle ha chiuso accordi ovunque con dem e progressisti vari. Però l’autonomia resta la sua prima preoccupazione: “Non ci possiamo dichiarare alleati pregiudizialmente, indebolirebbe il progetto: abbiamo una storia diversa dalla Quercia (il fu Pds, ndr) coi cespugli intorno”. Ergo, Conte non vuole essere secondo al Pd.
Però non vuole neppure sembrare aggressivo, per giunta dopo l’ottima accoglienza ricevuta sabato alla festa nazionale dell’Unità. Così precisa: “Non voglio essere frainteso, il nostro lavoro con il Pd è quotidiano”. Però non c’è solo il partito di Schlein a sinistra e dintorni. Peter Gomez glielo ricorda: “Il prezzo per vincere è correre con Matteo Renzi, con Vincenzo De Luca, con Clemente Mastella?”. La platea fischia, quei nomi la agitano. Conte si difende: “Non è sufficiente solo costruire un finto accordo di governo per vincere, altrimenti facciamo la fine dell’Unione di Romano Prodi che si sciolse dopo un anno. Serve un programma condiviso, e l’affidabilità dei compagni di viaggio sarà fondamentale. Dobbiamo evitare accozzaglie o armate Brancaleone”. Renzi ha tolto il simbolo di Iv pur di stare in coalizione in tutte le regioni: si nasconde ma c’è… L’ex premier controreplica: “I suoi candidati non sono stati eletti nelle ultime elezioni, è un dato di realtà”. Qualcuno mugugna. È un tema delicato, come quello del metodo per scegliere il candidato premier della coalizione.
Conte ne conosce di diversi dalle primarie? Lui svicola: “L’importante è il progetto”. Però giura: “Per me non sarà mai un tema di ambizione personale”. Non pretende di tornare a Palazzo Chigi. E comunque per tornarci non può bastare parlare di reddito di cittadinanza e armi, gli obiettano. L’avvocato promette: “Al centro del programma metteremo la tutela delle piccole e medie imprese artigiane, e la lotta ai poteri e alla speculazione finanziaria”. E la tassazione sui grandissimi patrimoni? “Sono favorevole”. Poi ci sarebbero le regole del gioco. “Teme che Schlein tratti con Giorgia Meloni sulla legge elettorale?” è la domanda. La risposta non è di circostanza: “Non penso che lei sia così miope da confezionare con il centrodestra una legge che porta svantaggi”. Gli viene ricordato il giudizio di Prodi: “L’opposizione non esiste”. Lo ha detto solo contro Schlein? Replica secca: “Se lo ha fatto per questo è un regolamento di conti a sinistra, noi siamo progressisti”. Chissà se si sente progressista, Alessandro Di Battista. Conte lo rivorrebbe nel M5S? “L’ho sentito più volte per valutare un suo rientro, poi abbiamo valutato che non c’erano i presupposti. A me piacerebbe? Astrattamente sì, ma non so se gli convenga entrare in una comunità dove potrebbe sentirsi imbrigliato”. Segue conferma: “Nel 2022 ci fu un veto su di lui da Beppe Grillo, è vero”. Ma la politica estera, l’Ucraina? “Putin è stato sfidato a reggere un confronto militare, anche Meloni ha dichiarato di voler scommettere sulla vittoria militare, ma questa scommessa l’abbiamo persa”.
Ne consegue che “ora la Russia ha un vantaggio sul campo, convincerla a una pace giusta e duratura è difficile”. Però ci sarebbero anche i dazi voluti da Trump, quello che chiamava Conte “Giuseppi”. L’ex premier ammette: “Sarei folle a dire che con me non sarebbero arrivati i dazi, ma avrei fatto il matto affinché l’Europa rispondesse a tono”. Quanto al presidente americano “gli avrei detto: ‘Donald anche io sono patriota: non puoi contestarmi se non accetto questo accordo’”. Fine. In serata, Schlein da Reggio Emilia: “Andiamo a vincere le Regionali uniti, non perdiamo tempo in competizioni tra noi”.