monica perosino
Una manciata di secondi, il rombo dei caccia, l’ordine di chiudere lo spazio aereo. Poi le finestre che esplodono, i boati, i telefoni che vibrano con un messaggio del governo: «Restate in casa». Per qualche ora la Polonia ha vissuto lo stesso incubo degli ucraini. Con una differenza: questa volta i droni russi non hanno sorvolato il Paese che cercano di piegare da quasi quattro anni, ma un membro dell’Alleanza Atlantica. 
I fatti, secondo Varsavia: nella notte tra martedì e mercoledì almeno 19 droni di Mosca, mentre era in corso un massiccio attacco sull’Ucraina, hanno attraversato il confine polacco, costringendo la Nato a inviare caccia per abbatterli in quello che molti tra i leader occidentali ritengono un attacco «deliberato» da parte della Russia – e non un errore come avvenuto in passato – cominciato martedì alle 23,30 e terminato all’alba del giorno dopo. A sostegno della difesa polacca e dei suoi F-16, la Nato ha fatto alzare in volo anche gli F-35 olandesi, un aereo italiano di sorveglianza Awacs e messo in stato di massima allerta i sistemi Patriot tedeschi. Secondo le prime indicazioni, dei 19 Uav ne sarebbero stati abbattuti 4, gli altri si sono schiantati nelle campagne polacche. Uno ha colpito il tetto di una casa di due pensionati di Wyryki Wola, regione di Lublino, rimasti illesi. 
È stata la prima volta nella storia della Nato che i caccia dell’Alleanza hanno attaccato obiettivi nemici in uno spazio aereo alleato. «Non siamo mai stati così vicini a un conflitto dalla Seconda guerra mondiale», ha detto il premier polacco Donald Tusk, annunciando di aver chiesto l’attivazione dell’art. 4 della Nato, il meccanismo di consultazione tra i Paesi membri in caso di minaccia a una delle parti. 
Ora, a indagine «ancora in corso», ripetono dalla sede della Nato a Bruxelles, si dovrà stabilire, sulla base dei rottami dei droni e, soprattutto, sulle rotte seguite, se la violazione dello spazio aereo polacco sia stata un’azione deliberata. Se fosse confermato quanto sostiene Varsavia, l’escalation russa sarebbe una mossa per testare le difese alleate e, non meno importante, parte della guerra ibrida in corso contro l’Europa per disturbare, destabilizzare, insinuare la sensazione che nessun confine sia sicuro. Si tratterebbe, insomma, della cosiddetta “tattica del salame” di cui la Russia è maestra. Un metodo per raggiungere gradualmente un obiettivo strategico attraverso una serie di piccoli passi, ognuno dei quali singolarmente non sembra critico o sufficiente a innescare uno scontro frontale, ma nel complesso cambia radicalmente la situazione. Proprio come si affetta un salame e, fetta dopo fetta, lo si mangia tutto.
Mentre si cercano le prove dell’intenzionalità della violazione, il Consiglio atlantico riunito ieri si è concluso in modo interlocutorio, ma senza sottovalutare la gravità di quanto accaduto: «È la prima volta che velivoli della Nato hanno ingaggiato minacce all’interno del nostro spazio aereo», ha detto il comandante supremo alleato (Saceur), Alexus Grynkewich. Nemmeno ai tempi della Guerra Fredda si era arrivati a tanto. «Siamo pronti, vigili e difenderemo ogni centimetro del territorio della Nato», ha aggiunto il Segretario generale Mark Rutte. 
Al di là delle dichiarazioni forti, però, c’è un nodo ancora da sciogliere, solo apparentemente formale. Si è trattato di un incidente o di uno sconfinamento deliberato da parte della Russia? Rutte, sul punto, ha glissato: «È in corso un’analisi per fare piena luce sull’accaduto ma che sia un atto intenzionale o meno si tratta di un’azione sconsiderata». L’intenzionalità, però, è uno dei criteri dirimenti per invocare l’articolo 5 del Trattato di Washington, quell’uno per tutti e tutti per uno che vale da solo l’iscrizione al club. 
In attesa delle prove che colleghino il raid a un ordine di Vladimir Putin, molti Paesi hanno sottoscritto la tesi di una provocazione deliberata, e tutti hanno convenuto di essere di fronte a un punto di svolta, di aver a che fare con un’escalation che non ha precedenti. Il cancelliere tedesco Merz non ha dubbi sull’intenzionalità dell’attacco, mentre Kyiv denuncia «la sfrontatezza» della Russia, sollecitando «una risposta appropriata». 
Intanto Mosca mette in campo una strategia rodata: la smentita. «Non è stata presentata alcuna prova che questi droni siano di provenienza russa. Accuse infondate», ha detto l’incaricato d’affari di Mosca, Andrei Ordash, a Varsavia dopo essere stato convocato. Il Cremlino a caldo non commenta, e rinvia il dossier al suo ministero della Difesa che accusa il governo polacco di «diffondere storie» per «aumentare l’escalation» di quella che Mosca definisce «crisi ucraina», cioè l’aggressione russa a Kyiv. 
Ma le foto dei resti di alcuni dei droni rinvenuti sul territorio polacco mostrano che si potrebbe trattare di Gerbera una versione più economica e semplificata dello Shahed-136 progettato per missioni kamikaze, ricognizione e trasmissione di segnali per estendere il raggio operativo di altri droni. Sebbene siano spesso impiegati come esche, possono essere equipaggiati anche con piccole cariche esplosive fino a cinque chilogrammi. In attesa, se ci sarà, di una risposta europea, il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ricorda che «la difesa aerea europea, la difesa aerea della Nato, ha funzionato, ma ovviamente non così bene come avrebbe dovuto».