Un modello in crisi

L’impianto di Copenaghen con la pista da sci sul tetto: oggi rischia di restare senza rifiuti da bruciare.

In Danimarca, patria di alcune delle tecnologie “più avanzate” di incenerimento, i termovalorizzatori si trovano oggi a corto di materia prima: i rifiuti.
L’efficienza della raccolta differenziata e l’avanzata del riciclo hanno ridotto drasticamente gli scarti da bruciare. Risultato? Impianti costosi e tecnologici che devono importare spazzatura dall’estero per restare in funzione.


Il rovescio della medaglia

Quando i rifiuti non bastano, aumentano i trasporti e i costi ambientali.

Questo scenario rivela un punto cruciale: i termovalorizzatori hanno bisogno di rifiuti come carburante. Se la differenziata cresce, i forni rischiano di restare fermi. E allora i gestori si rivolgono ad altri mercati, pagando trasporti lunghi e inquinanti. Una contraddizione evidente per chi parla di “sostenibilità”.


Il caso italiano

In Italia crescono i movimenti che contestano nuovi inceneritori.

In Italia, e in particolare in Liguria, si discute di nuovi impianti da 300 mila tonnellate annue. Ma i numeri non tornano: la produzione locale di indifferenziato non basterebbe, con il rischio di importare rifiuti da altre province o addirittura da fuori regione.
Un business che arricchisce pochi privati, mentre i cittadini pagano due volte: con la TARI e con la salute.


Torino insegna

Il termovalorizzatore del Gerbido (Torino).

L’impianto del Gerbido, vicino Torino, nel solo 2016 ha trattato circa 440.000 tonnellate di rifiuti, producendo però oltre 113.000 tonnellate di ceneri da smaltire altrove.
In pratica, un quarto del materiale entra come rifiuto urbano ed esce come rifiuto speciale.

A ciò si sommano milioni di metri cubi di gas bruciati e tonnellate di reagenti chimici utilizzati per “pulire” i fumi, che comunque contengono diossine e polveri sottili.


La scelta della Val Bormida

Comitati e alcuni comuni della Valle hanno espresso contrarietà a un possibile impianto.

Proprio in un territorio martoriato da decenni di inquinamento chimico (ACNA docet), si vuole collocare un impianto di questo tipo. Ma i comuni della Valle hanno già espresso una contrarietà quasi unanime, chiedendole invece uno sviluppo basato su bonifiche, turismo sostenibile e agricoltura di qualità.


Alternative reali: il modello CRRM

Un CRRM potrebbe premiare i cittadini e portare la raccolta differenziata oltre il 90%.

C’è un’altra strada: il CRRM – Centro Raccolta e Remunerazione Materiali.
Un sistema che premia i cittadini per conferire materiali puliti e separati, raggiungendo percentuali di raccolta differenziata superiori al 90% senza aumentare la TARI. Una filiera cortissima, che valorizza le risorse e riduce l’impatto ambientale.
È questa la vera economia circolare, non i camini che bruciano risorse e producono nuove scorie.


Conclusione: imparare dalla Danimarca

Riduzione, riuso, riciclo: le basi della vera sostenibilità.

Il paradosso danese è un monito chiaro: più riciclo significa meno bisogno di inceneritori.
E dove si insiste su questi impianti, si finisce per cercare rifiuti altrove, trasformando il territorio in una discarica a cielo aperto.

In Liguria la lezione è evidente: meglio investire in raccolta spinta, riuso e innovazione locale, piuttosto che condannare la Val Bormida e i cittadini a un futuro fatto di fumi, ceneri e illusioni.


L.C.