Il bivio tra opposizione sterile e partecipazione concreta: il vero rischio non è il compromesso, ma l’irrilevanza.

Dentro al MoVimento 5 Stelle convivono due anime: quella del “duro e puro”, che vede ogni alleanza come un tradimento, e quella del “realista”, che considera la partecipazione al governo – pur con compromessi – l’unico modo per difendere i cittadini.

Il “duro e puro” dice: meglio soli che fagocitati. Ogni accordo con il PD o con altre forze rischia di minare l’identità del MoVimento e sporcarne il nome. Per lui, l’opposizione è la posizione più coerente, l’unico baluardo per non cedere al sistema.

Il “realista”, invece, ribatte: fuori dalle istituzioni chi difende i cittadini? Chi ferma le politiche liberiste che smantellano sanità e lavoro? Con i patti scritti il MoVimento può imporre i suoi punti, vigilare, costringere gli alleati a rispettare impegni chiari e rendere conto delle loro scelte davanti a tutti.

Il conflitto non è nuovo, ma oggi pesa più che mai. Perché il rischio è doppio:

se si partecipa, ci si accusa di “contaminarsi”; se si resta fuori, si regala campo libero alla destra e alle lobby.

La domanda allora è semplice: cosa sporca di più il nome del MoVimento? Stare nelle stanze del potere per fermare tagli e privatizzazioni, o restare a guardare mentre altri decidono?

Certo, le coalizioni non sono mai facili. Ma un progetto politico non può ridursi a un giudizio sul candidato di turno. Il volto passa, il programma resta. E il MoVimento ha già dimostrato di poter dire no a banche, multinazionali e regali ai potenti, portando a casa risultati concreti su reddito, sanità pubblica e ambiente.

Il vero tradimento non è “sporcarsi le mani”, ma abbandonare il campo e consegnare il Paese a chi non aspetta altro. Perché l’astensione, inutile illudersi, è il regalo più grande agli avversari.

Il dilemma del M5S, insomma, resta aperto: meglio un argine imperfetto dentro, o una sterile testimonianza fuori?