
Per i manager pene fino a 17 anni: 11 imputati su 15 riconosciuti responsabili di un inquinamento che nel Veneto potrebbe aver causato 4 mila morti
Giuseppe Petrobelli
Per trent’anni hanno bevuto acqua inquinata dai Pfas, che usciva dai rubinetti di casa apparentemente sicuri. Per dieci anni sono rimasti sulle barricate di un’inchiesta difficile, combattendo contro nemici potenti, e per altri quattro anni hanno seguito un processo che rischiava di impantanarsi nelle secche della prescrizione e delle ambiguità di legge. Quando la presidente della Corte d’assise di Vicenza, Antonella Crea, ha finito di leggere la sentenza che condanna undici manager della Miteni e assolve solo quattro imputati, le Mamme No Pfas e i cittadini costituiti parte civile si sono sciolti in lacrime e abbracci. Il più importante inquinamento di falda mai verificatosi in Italia ha trovato la prima parola conclusiva, con pene complessive per 141 anni di reclusione. Una sentenza severa da cui rimane però fuori la politica, che in questa vicenda sottovalutata per gravità non è mai stata tirata in ballo, anche se controlli più accurati avrebbero impedito che la Miteni di Trissino adulterasse la falda che scorre nel sottosuolo delle province di Vicenza, Padova e Verona. Li hanno chiamanti gli “inquinanti eterni”, sono le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate nella produzione industriale, fonte di ricchezza e di lauti guadagni, ma anche causa di danni alla salute per centinaia di migliaia di persone. La Miteni, nata dalla Rimar del Gruppo Marzotto, li ha cominciati a produrre ancora alla fine del secolo scorso. A quell’epoca un chilo di Pfas valeva come mezzo chilo d’oro. Con l’uscita di scena degli imprenditori tessili, l’azienda è poi passata a Enimont, quindi alla giapponese Mitsubishi, infine alla Icig che l’ha acquista nel 2009 pagando solo 1 euro, tale era la consapevolezza della pericolosità e dell’eredità delle bonifiche che avrebbe comportato. “Quell’azienda era una bomba atomica innescata, una bomba a orologeria che ha causato un disastro ambientale, con gravi effetti sulla popolazione”, aveva detto il pm Hans Roderich Blattner, concludendo la requisitoria. La sentenza gli ha dato ragione. Nel 2013 è sorto l’allarme per la popolazione, a seguito di uno studio Irsa-Cnr. Nel 2014 l’avvio di indagini grazie agli esposti di associazioni ambientaliste. Nel 2021 i 15 rinvii a giudizio e l’inizio del dibattimento, con 300 parti civili e qualche centinaio di testimoni. Secondo i giudici sono stati provati i reati di avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana, il disastro ambientale, l’inquinamento ambientale e la bancarotta fraudolenta. Solo la gestione non autorizzata di rifiuti è stata prescritta. Della gestione giapponese di Mitsubishi Corporation (dal 2002 al 2009) sono stati condannati a 16 anni Naoyuki Kimura e Yuji Suetsune, a 11 anni Maki Hosoda, mentre è stato assolto Kenij Ito. Tutti condannati i vertici della società lussemburghese Icig-International chemical Investors, proprietaria di Icig Italia 3 holding srl: 17 anni di reclusione a Hendrik Schnitzer, Georg Hannes Riemann e Brian Anthony Mc Glynn, 16 anni ad Alexander Nicolaas Smit, 4 anni e 6 mesi a Martin Leitgeb. Tre assoluzioni e tre condanne per i responsabili di stabilimento o dell’area tecnica: 6 anni 4 mesi ad Antonio Nardone, 17 anni a Luigi Guarracino, 2 anni 8 mesi a Davide Drusian, proscioglimento per Mario Fabris, Mauro Cognolato e Mario Mistrorigo. La sentenza è completata da risarcimenti per circa 76 milioni. I cittadini parte civile riceveranno 1 milione 795 mila euro, con una media di 15-18 mila euro ciascuno, e 181 mila per le spese legali. A 28 Comuni saranno pagati danni per 2,2 milioni, 250 mila euro ad associazioni ambientaliste (Medici per l’Ambiente, Medicina Democratica, Italia Nostra, Greenpeace, Acqua Bene Comune), 200 mila euro a Cisl, Cgil e Uil, 2,8 milioni a enti che si occupano di gestione delle acque. Il risarcimento più alto è per il ministero dell’Ambiente, 56,8 milioni di euro, che potranno quindi essere impiegati per le bonifiche. A completamento, 6 milioni e mezzo alla Regione Veneto e 4,8 milioni alla curatela di Miteni, che nel frattempo è fallita e ha smantellato lo stabilimento, trasportato in India.
Miteni voleva diventare leader mondiale della produzione di Pfas, nonostante negli Usa attività simili condotte dalla Dupont e da 3M avessero causato danni miliardari. Il dibattimento ha provato i rapporti diretti con le aziende americane e lo scambio di informazioni che avrebbero dovuto mettere sull’avviso gli italiani, ma furono ignorate. Come conseguenza, decine di Comuni hanno scoperto di avere l’acqua imbevibile, con 350 mila persone coinvolte, molte delle quali hanno ancora nel sangue valori di Pfas superiori al tollerabile. La Regione Veneto non ha mai effettuato un’indagine epidemiologica, ma studi universitari hanno accertato 4.000 morti in più in trent’anni, nelle aree inquinate del Veneto, perché i Pfas sono causa di tumori e altre malattie legate anche alla crescita e alla fertilità.
