
Seduta s’infuoca: la premier provoca e poi va via in anticipo
Luca de Carolis
La premier, in completo color panna, quasi corre uscendo dall’aula. Dietro di sé lascia la baraonda che cercava. Il dem Federico Fornaro che schizza verso i banchi del governo e urla: “Vergognati, studia”. Sottosegretari e ministri che battono le mani, e non si potrebbe. I gruppi di Pd e Avs che saltano di rabbia, Fratelli d’Italia che ulula di scherno, il presidente della Camera Lorenzo Fontana che non sa come tamponare la tempesta.
Sospende la seduta, ma si scorda di dirlo dal microfono, e allora sono i commessi da sotto che devono fare segnali verso le tribune ai colleghi: “Fate sgombrare”. Forse voleva più o meno questo, Giorgia Meloni, che in tarda mattinata declama con tono irridente il Manifesto di Ventotene, in nome del quale il centrosinistra aveva riempito piazza del Popolo a Roma, sabato. Fino a pochi attimi prima, dentro e fuori dell’aula tutti parlavano di quella frase del capogruppo leghista Riccardo Molinari a Radio 24 che sapeva di commissariamento: “L’Italia non approverà una risoluzione che dà a Meloni il mandato di approvare il piano di riarmo europeo”. E guarda il caso, la premier vira rotta, nelle repliche alle opposizioni. Vuole far parlare d’altro. E Montecitorio diventa una curva da stadio. Il ministro Tommaso Foti è nato molto di destra nell’Emilia rossa. Nello scontro ideologico respira aria di casa. Dovrebbe leggere i pareri del governo sulle risoluzioni dei gruppi, ma li declama con urla belliche: “Intendo dare i pareri, se interessano…”. Pd e Avs si strappano le corde vocali. Dall’altra parte c’è un altro emiliano di FdI, il capogruppo Galeazzo Bignami, che dal suo banco risponde a gesti. La dem Debora Serracchiani ha grida solo per Fontana: “Lei è il presidente della Camera!”. E lui reagisce: “Neanche lei può rivolgersi così alla presidenza”. Eccola, la sospensione dell’aula. Fuori della tribuna, i giornalisti se lo ripetono: “Ma ora Meloni deve andare a pranzo da Sergio Mattarella, proprio oggi…”. Riprende la seduta, e la premier si riaccomoda. Scambio di sorrisi con i suoi. Fornaro, storico che di Resistenza ha anche scritto, di ridere non ha voglia: “Il Manifesto è riconosciuto dagli storici come l’inno dell’Europa federale e non quello alla dittatura del proletariato. Questo è un luogo sacro, la presidente si inginocchi, vergogna”. Poi si accartoccia sul banco, in lacrime. Marco Grimaldi di Avs ricorda: “È grazie a quei rivoluzionari che l’hanno scritto che siete e siamo liberi”. Per i 5Stelle parla Alfonso Colucci, ed ecco che arriva il tema Mattarella: “Alle gravissime parole di Meloni la risposta migliore l’ha data il presidente della Repubblica quando intervenne a Ventotene, dove ricordò che gli autori erano stati mandati lì al confino per impedirgli di pensare”. La premier si copre il volto con le mani, ride e Colucci ovviamente si precipita a notarlo: “La presidente ride! Si vergogni”. Non si può andare avanti. Sospensione.
La premier se ne va per non tornare, direzione Bruxelles. Ma sui social rilancia il suo intervento su Ventotene, con due parole a corredo: “Giudicate voi”. Insiste. Fontana invece convoca una capigruppo informale per far scendere la temperatura. Poi riappare per scandire: “Chi ha combattuto per la nostra libertà merita il nostro plauso”. La discussione sulle comunicazioni di Meloni riprende a pomeriggio inoltrato. Conte rammenta un tweet del 2016 in cui la premier elogiava “i firmatari del manifesto”. Poi attacca Meloni e i suoi: “Siete un virus, un carrozzone di ministri incompetenti”. Elly Schelin va di politica: “Lei è stata commissariata dalla Lega, non ha agibilità: la risoluzione di maggioranza è scritta con inchiostro simpatico”. Già, le risoluzioni. Il Pd si astiene su quelle delle altre opposizioni (ma il riformista Lorenzo Guerini vota anche quelle di Azione e Più Europa), mentre gli anti-armi M5S e Avs se le votano a vicenda. Al punto 4 del loro testo, i 5Stelle avevano piazzato un no al piano di riarmo per stanare la Lega nel voto su parti separate. Ma il Carroccio dice no come le altre destre. E il capogruppo 5Stelle Riccardo Ricciardi glielo rinfaccia: “Ancora una volta, il Carroccio è un cane che abbaia ma non morde”. Rumoroso, quel che basta.
