Stefano Patuanelli “Manifestazione troppo ambigua I dem? Conta la linea di Schlein”

niccolò carratelli 
roma 
Stefano Patuanelli, capogruppo del Movimento 5 stelle al Senato, pentito di non essere andato in piazza per l’Europa sabato pomeriggio a Roma? 
«No, massimo rispetto per chi ha organizzato e per chi ci è andato, ma noi non potevamo esserci, non la sentivamo nostra, perché riteniamo che in questo momento non ci sia spazio per l’ambiguità». 
Era una piazza ambigua? 
«Lo è stata inevitabilmente, ma per com’è nata, ancora prima che venisse presentato il piano di riarmo europeo. Non c’era un messaggio univoco, ognuno è andato lì con la sua proposta e la sua bandiera». 
C’erano tante bandiere dell’Europa e della pace, oltre a molti cartelli contro il riarmo: potevate portare anche i vostri, no? 
«C’erano anche tanti politici e cittadini convinti che il piano di riarmo sia una buona cosa. Poi è chiaro che nessuno vuole la guerra e non esistono bandiere della guerra». 
Perché è così sbagliato sostenere che l’Europa, in questo momento storico, debba aumentare la propria capacità di difendersi? 
«Nessuno di noi ha mai detto che bisogna dismettere la produzione di armi e affrontare le crisi internazionali a mani nude. Né che non sia necessario andare verso una difesa comune europea. Il problema è che non è quello che avverrà con il piano von der Leyen, che va nella direzione opposta, del tutto sbagliata. La follia è che ogni Paese potrà investire di più in armamenti in base ai propri spazi economici: chi ha più capacità finanziaria, si armerà di più». 
Quindi, hanno sbagliato Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che sono andati in piazza, pur avendo una posizione sul riarmo sovrapponibile alla vostra? 
«Ognuno fa le proprie scelte, stavano insieme a Renzi e Calenda che hanno idee contrapposte alle nostre. Comunque, penso che Fratoianni e Bonelli saranno più a loro agio nella nostra piazza del 5 aprile, che avrà una piattaforma chiara e netta». 
In sintesi? 
«Sarà l’occasione per dire che questo riarmo è una follia, che questo governo ha sbagliato tutto, portando il Paese sull’orlo della recessione con due anni di calo della produzione industriale, un caro bollette spaventoso, la frantumazione del sistema sanitario e un nulla di fatto sugli extraprofitti. Un disastro economico a cui ora si vorrebbero aggiungere 30 miliardi di debito in armi». 
Il no al piano di riarmo da parte del Pd è davvero la «premessa» alla costruzione dell’alternativa di governo, come dice Conte? 
«Spero proprio di sì, il no di Schlein al piano von der Leyen è promettente e coraggioso, perché ha lanciato un messaggio forte anche dentro al suo partito». 
Però metà della delegazione europea dem ha votato in dissenso rispetto alla linea della segretaria: questo scontro interno complica il percorso? 
«L’essere un partito plurale è un grande valore, ma anche una grande fatica per chi deve guidare. Non sarà facile e immediato allineare i pianeti, ma mi auguro che, alla fine, il Pd segua la segretaria. Di certo, per noi conta quello che dice Schlein». 
Domani finalmente sentirete anche Giorgia Meloni, sul piano di riarmo. Che accoglienza le riserverete? 
«Noi faremo la nostra risoluzione e le diremo quello che pensiamo. Ma sono più curioso dell’accoglienza che riceverà dalla sua maggioranza, all’interno della quale ci sono posizioni inconciliabili sulla difesa e sul riarmo. Qual è la posizione del governo? Quella di Meloni, quella di Tajani o quella di Salvini? » . 
Però poi conta se votano insieme in Parlamento, no? 
«Certo, e credo voteranno compatti anche stavolta. Ma su quale risoluzione? Cosa ci scriveranno? Affermazioni generiche? Anche in questo caso, non sono ammesse ambiguità». 
Alla fine, l’Italia si allineerà al piano di riarmo di von der Leyen? 
«Fratelli d’Italia e Forza Italia in Europa hanno detto sì. E ricordo che questo governo parla dell’ipotesi dello scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità da un anno e mezzo. Meloni continuerà a sostenere la necessità del riarmo, al massimo insistendo sulla stupidaggine di cambiare nome al piano». —