Proposta ai lavoratori in cig: per costruire la Grande Panda trasferta di sei mesi con possibilità di tornare a Modena ogni 45 giorni

Ettore Boffano

La crisi mondiale dell’auto, e quella italiana di Stellantis in particolare, sono più forti dei comunicatori che da qualche mese stanno cercando di rifare la faccia a John Elkann. Così, se mercoledì prossimo il nipote di Gianni Agnelli e presidente del gruppo franco-italiano arriverà in Parlamento per un’audizione “protetta”, è il mercato dell’automotive ad azzoppare queste mosse e a ridimensionarne il ritorno d’immagine. È dei giorni scorsi, infatti, la notizia che la produzione dei modelli Maserati nello stabilimento di Modena, ferma da mesi, non ripartirà e ancora per lungo tempo. Come ormai accade da 17 anni a Mirafiori, e a macchia di leopardo negli altri stabilimenti italiani di Stellantis, la soluzione scontata è la cassa integrazione. Con una variante, però, che rende così un po’ ridicola la circostanza della sponsorizzazione, in qualità di Automotive Premium Partner con i marchi “italiani” del gruppo, delle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026: Maserati, Lancia, Alfa Romeo e Fiat.
Ai lavoratori di Modena è stato proposto di andare a lavorare per sei mesi su base volontaria in Serbia, alla linea della Fiat Grande Panda nello stabilimento di Kragujevac: paga di 135-140 euro giornalieri e la possibilità di tornare a Modena ogni 45 giorni con un volo pagato dall’azienda. Un brutto segnale per la presunta italianità di Stellantis, ma soprattutto per i dipendenti e per il futuro della produzione Maserati, oggi in forte crisi. Da gennaio, le ore di lavoro a Modena sono state zero e lo stabilimento è fermo da novembre, nonostante la recente visita di Elkann nel suo tour di rilancio della propria leadership dopo la cacciata del ceo Carlos Tavares. Nel 2024 sono stati prodotti solo 222 modelli MC20, con pochi numeri residui a Mirafiori.
La notizia ancora più allarmante, però, è arrivata con l’annuncio che la casa del Tridente ha deciso di cancellare definitivamente il lancio della versione elettrica di quella stessa auto, previsto entro il 2025: “Per mancanza di prospettive commerciali. I clienti delle supercar non sono pronti a passare ai veicoli a batteria”. Una decisione che significa 1,5 miliardi di investimenti bloccati (e perdite per 1,063 miliardi nel 2024).
Anche per l’Alfa Romeo si annuncia l’abbandono di alcuni modelli già in produzione ma, al contrario della versione elettrica della Maserati, si giustifica la scelta con la transizione ambientale. La casa del Biscione eliminerà le motorizzazioni a benzina dai modelli Giulia e Stelvio, comprese le varianti Quadrifoglio: per ridurre le produzioni che mantengono elevate le emissioni di CO2. Un anno fa il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva contestato il nome “Milano” attribuito al nuovo B-Suv prodotto però in Polonia. In uno scontro che allora vedeva il governo Meloni ancora in polemica con Stellantis (accusata, in quel caso, di “una falsa evocazione di un’origine italiana del prodotto”), il ministro Urso costrinse il gruppo a ribattezzare la nuova vettura con il più asettico nome di “Junior”,
Traversie pesanti tra Modena e Torino e per due marchi storici. E che adesso rischiano di mettere un po’ a repentaglio le intese di non belligeranza ricercate per un approdo soft di Elkann alla Camera mercoledì 19 marzo. Mentre da Parigi, questa volta, filtra l’indiscrezione che tra lunedì e martedì, a poche ore da quell’audizione, si svolgerà in Francia una riunione con la presenza dei massimi vertici della multinazionale. Emergeranno novità sulla scelta del successore di Tavares?