Una bozza ministero-Regioni vuole dottori di famiglia dipendenti. Schillaci isolato. Il nodo delle Case di Comunità

Alessandro MANTOVANI

Il piano è ambizioso. Trasformare i medici di famiglia in dirigenti medici, dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Oggi infatti sono liberi professionisti, convenzionati con la sanità pubblica che li retribuisce in base al numero di assistiti e per specifiche prestazioni, col risultato che a volte guadagnano più degli ospedalieri anche lavorando meno. Non sempre, naturalmente, ma succede. Per diventare medici di medicina generale, peraltro, non c’è un corso di specializzazione universitaria, ma corsi regionali spesso gestiti dagli stessi potenti sindacati della categoria, che controllano gli Ordini e l’Enpam, la ricca cassa previdenziale dei medici liberi professionisti. Anche questo dovrebbe cambiare, con una specializzazione vera.
Portarli a pieno titolo nella sanità pubblica, cominciando dai giovani e offrendo l’opzione della dipendenza ai meno giovani, aprirebbe una nuova fase nell’assistenza territoriale, favorirebbe il ricambio generazione in vista di migliaia di pensionamenti che aggraveranno le carenze già drammatiche non solo nelle zone più remote del Paese e contribuirebbe ad alleggerire la pressione sui Pronto soccorso. Perché consentirebbe di rendere operative le 1.350 Case di Comunità previste entro il febbraio 2026, senza correre il rischio di perdere buona parte dei 2 miliardi di euro del Pnrr Salute.
Sarebbe effettivamente “una svolta epocale”, come ha scritto il Corriere della Sera, ieri, anticipando una bozza di riforma tuttora in corso di revisione al ministero della Salute con i rappresentanti di quattro Regioni: il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia dei leghisti ragionevoli Luca Zaia e Massimiliano Fedriga (quest’ultimo anche presidente della Conferenza delle Regioni), la “rosa” Emilia-Romagna ora presieduta dal dem Michele De Pascale e il Lazio di Francesco Rocca, fratello d’Italia un po’ “irregolare”. Sono loro ad avere il problema delle Case di Comunità.
Ora però, dopo l’anticipazione, nessuno vuole interstarsi questa proposta di riforma radicale. Il ministro della Salute Orazio Schillaci la condivide, ma i dirigenti che gli sono più vicini la attribuiscono con prudenza alle Regioni, alcune delle quali, Lombardia in testa, in realtà sono contrarie. La destra di governo è perlomeno divisa. In Fratelli d’Italia sono più i no che i sì, sull’assistenza di base del resto si concentrano appetiti privati tradizionali e anche quelli delle farmacie, che contano sulla telemedicina. Forza Italia, sapendo in quale direzione andava la commissione ministero-Regioni, ha appena depositato un progetto di legge che sembra scritto da esponenti della categoria, a firma degli onorevoli Stefano Benigni, Ugo Cappellacci e Annarita Patriarca: prevede il mantenimento del sistema convenzionale con la garanzia del servizio nelle Case di comunità. Non è così diverso da quello elaborato nell’ultima fase di Roberto Speranza alla Salute, ma poi è caduto il governo Draghi e la prospettiva del voto anticipato del settembre 2023 non consigliava al centrosinistra di inimicarsi la Fimmg, il più forte sindacato di categoria, che per quanto possibile difende lo status quo.
Ieri contro la proposta del passaggio alla dipendenza ha preso posizione Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici: “Con lo smantellamento dell’attuale sistema della convenzione, si ridurrebbero i livelli di tutela della salute dei cittadini e si ridurrebbe anche l’autonomia dei professionisti”, ha detto Anelli, precisando tuttavia che “non ci risulta che esista, ad oggi, alcuna proposta sul nodo del passaggio alla dipendenza, quindi stiamo parlando del nulla”. Per quanto plurispecializzato, anche Anelli è un medico di famiglia. Molto duro Silvestro Scotti, intramontabile leader della Fimmg: “Se si realizzasse tale ipotesi – ha dichiarato Scotti – personalmente mi dimetterei dal Ssn, perché non credo che la dipendenza sia un modello di assistenza adeguato per l’offerta di cure primarie ai cittadini in un rapporto fiduciario. E le dimissioni potrebbero essere un gesto messo in atto da moltissimi medici”. Soprattutto quelli vicini a maturare la più vantaggiosa pensione dell’Enpam.
A favore c’è invece la Fp Cgil Medici di medicina generale, che non ha la forza della Fimmg ma boccia come “inaccettabile” la proposta di Forza Italia: “Propone un ibrido dell’attuale sistema, in cui i medici di famiglia, peraltro gravemente sotto organico, dovranno fare le trottole tra studi convenzionati, domicilio dei pazienti e Case di comunità, a detrimento dell’assistenza alle persone. Inaccettabile”. La Cgil ricorda di battersi da anni “per il passaggio al contratto della Dirigenza e per l’equiparazione della formazione anche per la Medicina Generale. Ci saremmo aspettati una proposta di legge seria”. Ora una bozza c’è, per quanto senza padre. Vediamo cosa deciderà Palazzo Chigi.