“Progressisti, ma autonomi dal Pd” Il nuovo Movimento ballerà da solo Le proposte degli iscritti

roma 
A nessuna squadra fa bene perdere, perché la sconfitta rischia sempre di minare la convinzione dei propri mezzi e della propria forza. Un discorso che si applica allo sport come alla politica, perché per il centrosinistra perdere in Umbria, dopo aver perso in Liguria, sarebbe una brusca frenata nel faticoso processo di costruzione dell’alternativa alla destra. A ben guardare, però, è una preoccupazione che investe soprattutto Elly Schlein, vera regista dell’operazione unitaria, visto che il Pd è il primo partito di opposizione, ma da solo può fare ben poco. Mentre l’eventuale allentamento della tela progressista non toglierebbe più di tanto il sonno a Giuseppe Conte. Per almeno un paio ragioni. 
Per il presidente M5s le elezioni regionali hanno un valore relativo, visto che il Movimento nei test locali non ha mai brillato e non sarà una sconfitta in Umbria a pregiudicare la riconferma della sua leadership durante l’assemblea costituente del 23 e 24 novembre. Del resto, da quando l’ex premier ha preso le redini del Movimento (e Schlein quelle del Pd) il centrosinistra ha perso tutte le Regioni andate al voto, tranne una: la Sardegna, dove la presidente (guarda caso) è un’esponente 5 stelle come Alessandra Todde. Il fatto che con ogni probabilità il candidato del Pd, Michele De Pascale, vincerà in Emilia-Romagna non modifica il quadro, anche perché la vera notizia sarebbe se non succedesse. 
L’altra ragione di Conte va cercata tra le migliaia di proposte arrivate durante il processo costituente e all’interno dei report sui tavoli tematici tra iscritti e non iscritti, stilati dalla società “Avventura Urbana”. Conte ha letto tutto con attenzione e ha capito che la pancia del Movimento soffre un eccessivo appiattimento sul Pd e non gradisce la prospettiva di un’alleanza strutturale con i dem. Lo sapeva già, tanto che nelle scorse settimane aveva ripetuto più volte il concetto di non volersi ridurre a «fare il cespuglio» e assicurando che il M5s marcherà sempre una sua «diversa identità». Ma il risultato finale del percorso di partecipazione dal basso, che ora i vertici di via di Campo Marzio dovranno trasformare in quesiti da far votare agli iscritti, conferma la necessità di un cambio di approccio. 
Senza esagerare, nessuno ai piani alti del Movimento pensa che la collocazione progressista possa essere rimessa in discussione dalla base: «Riteniamo ci sia una maggioranza favorevole a continuare su questa strada», spiega un parlamentare. Tanto meno si teme che possano affermarsi proposte estreme, pure contenute nel report che riguarda la revisione del Codice etico, come quella che chiede di «vietare tutte le alleanze» o quella che invita a «non dichiarare alcun posizionamento e mantenere la storica distanza tra destra e sinistra». Questo sembra il passato, con buona pace di Beppe Grillo. Tuttavia, anche tra le proposte meno perentorie, si percepisce nettamente la volontà di staccarsi dall’abbraccio con il Pd. Si suggerisce, ad esempio, di stilare «un documento che dichiari i valori e i punti programmatici non negoziabili del Movimento da far sottoscrivere a qualunque forza politica che intenda allearsi con il Movimento». Una sorta di contratto di governo, ma scritto da Conte, per capirci. Oppure si propone di dotarsi ogni volta di «un accordo programmatico preciso», ma non per forza con le forze di centrosinistra: si dice esplicitamente che potrebbe essere «adottato in base alle contingenze, in modo da avere la garanzia di governare» e lasciando «flessibile la regolamentazione delle alleanze locali». Insomma, niente vincoli, qui corriamo insieme e magari lì siamo avversari. In Parlamento su questo tema collaboriamo, mentre su quest’altro litighiamo e vi attacchiamo peggio di come facciamo con Fratelli d’Italia. Esattamente il contrario di quello che auspica Schlein e che servirebbe per offrire un’immagine di solidità del centrosinistra. nic. car. —