Il M5S non accetta l’entrata in coalizione di Italia Viva mentre la sua base locale rumoreggia su Orlando. E c’è il nodo Calenda

Luca de Carolis

Te la do io la Liguria, avrebbe detto il Beppe Grillo di molti decenni fa, giovane comico. Ma oggi non potrebbe dirlo neanche per scherzo (forse). Perché la questione Regionali è un guazzabuglio, l’ennesimo che coinvolge il presunto campo largo, con al centro un problema che ha un nome e un cognome, Matteo Renzi. Mentre il garante genovese dei 5 Stelle potrebbe al massimo fare il guastatore dietro le linee contiane, e non è affatto detto che abbia l’intenzione e soprattutto la forza e i soldati per farlo. E già questo racconta più di qualcosa sulla partita dentro il centrosinistra, che dovrebbe raggrumarsi sul dem Andrea Orlando per tentare di riprendersi la regione in ottobre – o a novembre, se sarà election day con Umbria ed Emilia Romagna – ma che ancora non trova un’intesa. Innanzitutto per l’elefante nella stanza, cioè Renzi, che aveva passato la campagna per le Europee a predire la morte del Pd – “È un partito finito, si scrive Schlein e si legge 5 Stelle o Cgil” sosteneva il 6 maggio scorso – e che a elezioni straperse ha invece scoperto che la segretaria dem è brava, anzi di più, e lei – incredibile? – è disposta anche a riprenderselo.
Un errore secondo mezzo Pd, un gigantesco ostacolo per il Movimento, che già deve far deglutire a tutta la sua base un’intesa in pianta stabile con i dem – se ne parlerà, eccome, nell’assemblea costituente di ottobre – ma Renzi no, proprio non può trangugiarlo. “Figurarsi se possiamo imporlo in Liguria, dove sostiene un sindaco di centrodestra a Genova e dove la nostra base è piena di attivisti della vecchia guardia” scuote la testa un big. E siamo al principale nodo al tavolo della coalizione, anche perché il fu rottamatore è sgradito – eufemismo – anche ad Alleanza Verdi e Sinistra. Ma è non certo l’unico intoppo, visto che il Movimento ha già rilanciato presentando come possibile candidato il senatore Luca Pirondini, già consigliere comunale a Genova. “Una mossa che non è un no a Orlando, ma un contributo al confronto” assicura il coordinatore regionale del M5S, Roberto Traversi.
Pirondini e l’ex ministro, peraltro, hanno buoni rapporti. Ma Orlando “è sceso in campo troppo in fretta e soprattutto da solo” lamentano da settimane i 5 Stelle locali, oltretutto scettici sulle sue possibilità di vittoria. Idee che sono un problema anche per il M5S nazionale, visto che Conte ha già dato ufficiosamente il suo via libera al deputato dem in un colloquio a Montecitorio, non a caso a portata di sguardo dei cronisti. Così il patto è ancora tutto da siglare. Anche perché Iv insiste, tanto da ventilare ufficiosamente anche l’addio alla giunta Bucci per offrirsi meglio, “e sarebbe oggettivamente un problema per noi” ammette un 5 Stelle. Ma c’è anche il tema di Azione, con Carlo Calenda che nelle scorse ore ha speso sillabe auliche – “in Liguria è un casino” – e che da settimane geme pubblicamente per il trattamento a suo dire ingiusto subito dall’ex presidente Giovanni Toti. Tutto questo, mentre i suoi referenti locali – ex Pd – non vedrebbero l’ora di sostenere Orlando. E poi c’è sempre lui, Grillo. Certi boatos raccontavano che lui Orlando non lo appoggerebbe mai, anche se i 5 Stelle liguri giurano che “a noi non l’ha mai detto, anche perché ha altro a cui pensare”. Però nella regione dove ha annunciato la candidatura anche un ex maggiorente del M5S come Nicola Morra, per la lista Uniti per la costituzione, il garante resta una variabile.
Basterebbe anche una sua battutaccia via web da qui alle urne per complicare ulteriormente la matassa. Di certo nel Pd sono preoccupati per la guerra tra lui e Conte. Temono colpi di testa, con contraccolpi per tutto il campo progressista. Dai piani alti del M5S ripetono però che il garante non ha vere armi dal punto di vista politico e giuridico. Per il Movimento quanto detto al Corriere della Sera dal deputato Alfonso Colucci sull’esistenza di una clausola contrattuale, in cui Grillo si sarebbe impegnato a rinunciare a ogni contenzioso sull’uso del simbolo, è l’argine a ogni congettura. “E poi – sostiene una fonte – il fatto che lo Statuto consenta di modificare nome e simbolo tramite l’assemblea degli iscritti conferma indirettamente che il simbolo non è di sua proprietà”.