Indecente si torni al voto

M.GRA.
C’è una foto che inibisce qualunque manifestazione contemporanea nella piazza più grande di Genova: sono gli anni Ottanta ed Enrico Berlinguer, spalle a Palazzo Ducale, dà le spalle a una folla oceanica. Siamo lontani da quei numeri, ma a chiedere le dimissioni di Giovanni Toti, ieri, si sono presentate migliaia di persone, ben più delle aspettative se si considera che siamo in una torrida giornata di metà luglio e che il Comune di Genova, in modo un po’ rocambolesco, ha provato per giorni a ritardare le autorizzazioni. Il messaggio più potente, però, è la prova generale di campo largo: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. I calendiani presenti, ma tra il pubblico, composto sì da truppe cammellate, vma anche da tanta gente comune. Tutti insieme, a chiedere le dimissioni di Toti, per un caso imprevisto colpito proprio oggi da un secondo arresto: “Sta tenendo un’intera regione agli arresti domiciliari – dice la segretaria del Pd – L’inchiesta farà il suo corso, ma molti di voi avevano già denunciato un sistema opaco. Non siamo la piazza dell’opposizione, ma dell’alternativa”.
Ad aprire è Giuseppe Conte, che scalda la platea anche se all’inizio il microfono si sente pochino e qualcuno dal fondo mugugna: “Non siamo qui per emettere sentenze, non siamo un tribunale e non ci sono gogne mediatiche. È Toti che non deve condannare la Liguria. Si faccia da parte”. Per Fratoianni, “ la scena che ha offerto il governo di questa regione è indecente, in un Paese normale avrebbe dato le dimissioni. E lo dovrebbe capire questa il ministro della Giustizia Carlo Nordio che commenta la sentenza del Riesame. Hanno descritto Bari come la peggiore cupola mafiosa e qui non riescono a dire una cosa semplice, ossia ‘dimettiti’. Venezia dimostra che all’origine c’è un problema politico, non di reati”. L’unità dell’opposizione è un segnale nazionale: Genova assomiglia a un laboratorio in cui si sta costruendo faticosamente un’alternativa. Questa piazza è al tempo stesso un messaggio alle litigiosissime fazioni locali, che finora hanno azzoppato i primi tentativi di trovare un candidato alternativo. Tra il pubblico fa capolino l’ex ministro Andrea Orlando, il primo nome papabile, avversato dalla metà del suo partito locale, dietro cui si muove ancora Claudio Burlando: “Mi spiace che a Toti la manifestazione provochi amarezza, a me ha provocato amarezza leggere del sistema di potere che si è venuto a determinare nel corso di questi anni, al di là degli esiti giudiziari”.
I numeri. Sono spesso l’arcano più difficile di ogni corteo, ma qui meritano di essere citati tutti, fonti comprese. Per gli organizzatori sono 5mila le persone in piazza, per la questura 4mila. Caso più unico che raro, sotto alla stima della polizia ce n’è un’altra: ciò che rimane dell’immenso ufficio stampa totiano è appostato nel palazzo della Regione, da quelle finestre che la piazza, simbolicamente, chiede di aprire per cambiare aria. In tempo reale vengono postate foto di una piazza mezza vuota, o mezza piena, a seconda dei punti vista, e una stima oggettivamente un po’ striminzita di 1.500 partecipanti. È lo stesso apparato comunicativo che a inizio 2024 – fornendo stime in libertà sul pubblico accorso a vedere Albano e Orietta Berti al costosissimo Capodanno Mediaset – aveva stimato la stessa piazza piena in 40mila persone. Come queste stime si tengano insieme, in uno stesso luogo fisico, è impossibile dirlo, ma questi sono i misteri buffi della propaganda.
