«Toti corrotto e pericoloso Ha dimostrato disinteresse per la cosa pubblica»


Il caso
Marco Fagandini
Tommaso Fregatti
Matteo Indice
I fatti su cui si basano le accuse di corruzione avanzate dalla Procura sono, per i giudici del tribunale del Riesame, di «allarmante gravità». I magistrati scrivono della «persistente pericolosità di Toti», di un presidente della Regione Liguria che, rapportandosi all’imprenditore Aldo Spinelli e all’ex manager di Esselunga Francesco Moncada, «”s’è mosso” non già come la figura ideale di pubblico amministratore, ma quasi come l’amministratore di una società privata che concordi con taluni azionisti “di riferimento” le linee strategiche della propria azione gestionale». E, descrivendo l’interrogatorio dello stesso Giovanni Toti davanti ai pm, riferiscono di un verbale «infarcito di “non ricordo”, un inciso che non brilla di certo per chiarezza e trasparenza».
Se per la difesa quindi il contenuto di quell’interrogatorio, avvenuto il 23 maggio, rappresenta un elemento di novità per sostenere la necessità di una revoca dei domiciliari cui Toti è sottoposto, per il Riesame così non è. E anche per questo l’ordinanza depositata ieri dai giudici ha respinto la richiesta di rimetterlo in libertà, dopo l’arresto il 7 maggio scorso nell’ambito dell’inchiesta sul sistema corruttivo che, per la Procura e la Guardia di Finanza, ha innervato per anni i vertici della Regione. Con richieste di finanziamenti a imprenditori in cambio di favori.
«La legge è uguale per tutti»
Il provvedimento firmato dal presidente del collegio Massimo Cusatti, che ha discusso l’istanza del difensore di Toti, l’avvocato Stefano Savi, assieme alle colleghe Luisa Avanzino e Marina Orsini, ribadisce come sussista un elevato rischio che il presidente regionale, ora sospeso dalla carica, ripeta gli stessi comportamenti illeciti che gli sono contestati. Rischio che giustifica il mantenimento dei domiciliari. Al contrario, spiega sempre il Riesame, non vi sarebbe più un pericolo di inquinamento probatorio. In ultimo, viene respinta anche la presunta incompatibilità sostenuta dalla difesa tra il perdurare della detenzione e il rispetto del mandato elettorale ricevuto da Toti da parte dei cittadini. Fatto valere attraverso la consulenza dell’ex ministro Sabino Cassese. «Estremizzando tale posizione – scrive Cusatti – la difesa sembra prospettare che l’amministratore di un ente territoriale possa considerarsi sottratto all’applicazione di misure custodiali ove lo richiedano esigenze di buon andamento della pubblica amministrazione… (o) per il solo fatto di essere stato attinto da un mandato elettivo, in aperta violazione del principio costituzionale per il quale tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge». Quasi che, «per assurdo», di fronte a un amministratore eletto accusato di «omicidio» o «violenza sessuale», continuano i giudici, si debba valutare non «l’esigenza di tutelare la collettività», ma anche se «il protrarsi della misura di custodia possa incidere sul buon andamento della pubblica amministrazione, sul mantenimento della carica elettiva» e così via.
«Nessun interesse per la cosa pubblica»
A più riprese l’ordinanza spiega come la difesa di Toti non abbia mai contestato le accuse e i gravi indizi contenuti nell’ordinanza di custodia della giudice Paola Faggioni. E quindi, in questa sede, dovessero essere valutati in primis elementi di novità tali da ridurre o eliminare i rischi di reiterazione dei reati o di inquinamento delle prove. Ad esempio influenzando possibili testimoni. Per la difesa, come detto, un elemento di novità sono state le parole di Toti nell’interrogatorio. In quella sede il presidente ha confermato l’esistenza degli episodi contestati, ma di essersi comportato così per perseguire il bene pubblico. E per mediare, ad esempio, fra Spinelli ed Msc, così da evitare scontri controproducenti per il porto. Posizione espressa anche in quella sorta di memoria “politica” depositata il giorno stesso dell’interrogatorio. Il collegio respinge questa lettura: «In nessuna delle conversazioni intercettate compare anche solo un cenno di sfuggita all’una o all’altro (tutela della cosa pubblica e mediazione, ndr) nel mentre (Toti, ndr) intrattiene rapporti con gli Spinelli e con Moncada… ma v’è un desolante silenzio sul punto, dovendosi solo registrare la secca alternanza fra solleciti di finanziamenti rivolti da Toti a Spinelli e le istanze di quest’ultimo intese a soddisfare i propri interessi personali».
«Intercettazioni puntuali»
Quanto alle dichiarazioni definite potenziali ammissioni, il Riesame è ancora più tranchant . Perché gli «accordi corruttivi» di cui è accusato il presidente regionale «non scaturiscono da “soffiate” o dichiarazioni più o meno convergenti» di altri soggetti, «bensì da puntuali intercettazioni ambientali e telefoniche». Quindi, scrivono i giudici, «c’era molto poco da ammettere di fronte a captazioni che restituiscono il quadro di un pubblico amministratore di rango apicale che, nel sollecitare costantemente finanziamenti per il proprio comitato elettorale, conversa amabilmente con gli stessi “finanziatori” di pratiche amministrative di loro interesse per le quali si impegna a “intervenire” nelle sedi opportune». Ed è solo la difesa, per Cusatti, «a qualificare come “ammissioni” dichiarazioni che non lo sono neanche in minima parte, per il semplice fatto che Toti ha ammesso solo ciò che era già stato ampiamente registrato dalle intercettazioni». Alcune affermazioni poi «risultano apertamente smentite dalle medesime intercettazioni».
Quei rapporti con Spinelli e Moncada (ora dimessosi, ndr), per il collegio, «ad oggi risultano correttamente qualificati in termini di corruzione». Un «malinteso senso di “tutela del bene pubblico”», chiosa il collegio. Perché la «corruzione è un vulnus tra i più gravi che possano essere inferti al buon andamento dell’azione amministrativa, allo stesso rispetto della volontà popolare e ai diritti dei terzi».
«Contraddizioni e speciosi distinguo»
Nel provvedimento del Riesame c’è un esempio preciso per definire la tesi di Toti: «Si pensi a taluno che confessi di essersi impossessato di una cosa altrui ma pretenda che non si tratti di un furto». Nello specifico, il collegio parla di «uno specioso “distinguo” tra ammissioni “in fatto” e “in diritto”», di «sottili distinzioni che, proprio in materia di corruzione, risultano quasi sofistiche». Su come definire le azioni del presidente ligure, i giudici infatti non sembrano avere molti dubbi: «Se è pacifico che sollecitare finanziamenti a un movimento politico integri un comportamento del tutto lecito, è di palmare evidenza che concordarne l’erogazione in cambio di “favori” direttamente incidenti sulla posizione del finanziatore, come Toti è gravemente indiziato di avere fatto, integra una forma di corruzione, trasforma la lecita contribuzione allo svolgimento di attività politica nel “prezzo” per l’esercizio di poteri e funzioni del pubblico ufficiale o per il compimento da parte di quest’ultimo di atti contrari ai suoi doveri di ufficio». Per gli inquirenti, ad esempio, il rinnovo della concessione a Spinelli del terminal Rinfuse. O la velocizzazione di pratiche per una nuova Esselunga.
Toti, nella richiesta di revoca, si era impegnato a non ripetere quei comportamenti per lui leciti ma contestati. Per i giudici «un “impegno” che suona come una sterile presa d’atto della fondatezza di accuse che pure non si è voluto ammettere». Ma anche «un’insolubile contraddizione tra la professata “consapevolezza” di Toti e il suo atteggiamento di rivendicazione di aver agito nell’interesse pubblico». E «se è stato necessario per l’indagato, come questi sembra aver ammesso, “farsi spiegare” dagli inquirenti che è vietato scambiare la promessa o l’accettazione di utilità di qualsiasi tipo con “favori”, continua indubbiamente a sussistere il concreto e attuale pericolo che egli commetta altri fatti di analoga indole».
Quanto al rischio di inquinamento delle prove, questa esigenza cautelare sarebbe decaduta a breve (con la possibilità di rinnovo). I giudici spiegano che gli «elementi di spregiudicatezza e disinvoltura da parte di Toti» sembrano attinenti ai comportamenti contestati. Ma non implicano automaticamente che possano essere applicati per sviare testimoni. La tutela delle indagini e l’espletamento dei compiti della sua carica possono essere garantiti come fatto sinora. Cioè con singole autorizzazioni da parte della gip per incontrare gli esponenti politici. —