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Giorgia Meloni non sa nascondere le proprie emozioni. La faccia – spesso le faccette, quando è in vena di irrisione – tradisce quello che pensa. Il volto scuro immortalato nelle fotografie e nei video all’ingresso del Consiglio informale dei leader, lunedì sera, raccontava già abbastanza quello che sarebbe stato ricostruito qualche ora dopo.
Questa la sequenza. Meloni isolata, nel palazzo del Consiglio europeo, a Bruxelles, chiusa in se stessa, incapace di un sorriso, circondata dagli occhi quasi impietositi di alcuni colleghi capi di governo. Meloni in una stanza, lasciata ad attendere assieme ad altri, durante un pre-vertice, mentre il francese Emmanuel Macron per il gruppo dei liberali, il polacco Donald Tusk per i popolari, il tedesco e lo spagnolo Olaf Scholz e Pedro Sanchez per i socialisti, negoziavano tra di loro la spartizione delle poltrone di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. Meloni durante la cena dei 27 che si sfoga, secondo quanto riassunto da alcuni testimoni, e dice: «Avevo pensato, venendo qui, che questo incontro informale avrebbe rappresentato il momento in cui avremmo discusso dell’esito del voto e dei segnali inequivocabili che sono arrivati dalle elezioni. E solo dopo avremmo cominciato a discutere dei top jobs (vertici delle principali istituzioni della Ue, ndr). Invece sta succedendo il contrario». Meloni sull’aereo, nella notte, in volo verso l’Italia che commenta con tutto il suo staff: «Hanno fatto un errore (ce l’ha soprattutto con Scholz e Macron, ndr), sanno benissimo che non possono tenere fuori un Paese come l’Italia. Ursula lo sa e sa che ha un accordo con me».
Il giorno dopo la lunga serata di amarezza, Meloni nota che qualcosa si è mosso. Il suo “caso” – lei, premier di un Paese fondatore dell’Ue che viene snobbata teatralmente dalle trattative – sta animando le discussioni europee. Sui giornali, tra i partiti. Il Financial Times parla di una leader «visibilmente contrariata» e riporta le ricostruzioni di alcuni funzionari europei perplessi per quanto avvenuto, e colpiti dalla «dura reazione» di Meloni durante il vertice. A loro avviso, escludere il capo dei Conservatori europei (Ecr) dai colloqui sulle nomine apicali dell’Ue potrebbe solo complicare i lavori per arrivare a un rapido accordo da portare al tavolo del Consiglio del 27-28 giugno, prima delle elezioni legislative francesi che Macron ha voluto anticipare e che rischiano di segnare la sua fine. In questo senso, la più preoccupata è Ursula von der Leyen, candidata del Ppe per un secondo mandato alla guida della Commissione. Dal primo momento ha cercato di includere Meloni, e da mesi sta cercando di sdoganare la leader di Fratelli d’Italia come un’ex sovranista convertita all’europeismo. Ha bisogno del suo sostegno in Consiglio, per essere nuovamente designata da presidente, e dei suoi voti per arrivare tranquilla alla nomina in Parlamento, protetta dai franchi tiratori.
Ieri i popolari si sono ritrovati a dibattere su come evitare di far saltare gli accordi con i socialisti e i liberali, e da che parte allargare la maggioranza. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani dopo aver visto Von der Leyen e la presidente uscente e ricandidata per l’Europarlamento Roberta Metsola, ha messo in guardia i colleghi del gruppo dalla foga anti-Meloni. Contro l’atteggiamento di Scholz e Macron sostiene: «Hanno perso le elezioni, non impongano le loro scelte. Bisogna tener conto dell’esito elettorale, serve aprire le porte della maggioranza a Ecr, non ai Verdi». Ma il Ppe è spaccato. Perché l’ala più a sinistra del gruppo che guarda al premier polacco Tusk non vuole un’intesa con Meloni e con Ecr, e preferirebbe coinvolgere i partiti ambientalisti, ridimensionati dall’onda nera che ha travolto l’Unione.
Secondo la premier questa parte del Ppe «sbaglia», convinta che nelle prossime ore potrebbe succedere qualcosa che cambierà gli equilibri. La sua scommessa punta sul rimescolamento delle famiglie della ultradestra europea. All’orizzonte, confermano da FdI, non c’è il supergruppo con Marine Le Pen o altri partiti di Identità e Democrazia, la sigla populista e nazionalista sotto la quale siede anche la Lega di Matteo Salvini (il veto atlantista contro i filoputiniani è una variabile ancora troppo importante). Ci saranno nuovi ingressi nei Conservatori, raccontano fonti di Palazzo Chigi, e questo nei calcoli di Meloni potrebbe portare a superare al terzo posto Renew, i liberali usciti anche loro malconci dal voto dopo il tonfo di Macron. Basta un pugno di deputati in più: se così fosse, Meloni arriverebbe più forte all’incontro tra dieci giorni. Pronta a far valere le sue richieste. La prima è il riconoscimento politico: cosa è che completamente mancata lunedì sera. La seconda è l’indicazione di un commissario di peso, con tanto di vicepresidenza. Su questo Meloni ha intenzione di tornare alla carica: l’Italia ha un problema enorme con i conti pubblici. Le serve una sponda e maggiore elasticità a Bruxelles. E Von der Leyen lo sa. —
