Francesco Grignetti
Roma
C’è anche Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte costituzionale, tra i 180 costituzionalisti che hanno firmato un appello per «stare al fianco della senatrice a vita Liliana Segre». De Siervo ha firmato convintamente. E di fronte a una riforma che definisce «una brutta riforma», quell’intervento della senatrice però lo rincuora. «Perché significa che le mie e le nostre critiche stanno facendosi largo nell’opinione pubblica. Anzi, nella migliore opinione pubblica».
Presidente, come la senatrice Segre, anche lei non vuole e non può tacere di fronte al premierato tanto caro a Giorgia Meloni?
«Certo. E finora non sono stato zitto. Ho partecipato alle audizioni della Prima commissione del Senato, ho seguito i lavori che lì si sono sviluppati. Mi lasci dire: lavori molto modesti e molto preoccupanti».
La senatrice ha usato termini semplici. Cito la sua preoccupazione maggiore, il «dominio assoluto di un capo di governo, dotato di fatto di potere di vita e di morte sul Parlamento». Concorda?
«Eh sì. Nel testo costituzionale che è all’esame del Senato, fanno una scelta pericolosissima, ovvero la contestualità dell’elezione del capo del governo con la selezione dei deputati e dei senatori. Ecco, unificare in un unico momento queste due diverse selezioni, vuol dire un sistema istituzionale nel quale c’è solo una maggioranza, che esprime il capo del governo più i suoi parlamentari, e una minoranza. I cittadini possono esercitare il loro potere di critica e di mutamento soltanto una volta ogni 5 anni. Ora, questo contrasta con le regole di tutte le democrazie contemporanee».
In che senso?
«Tutte le democrazie contemporanee possono avere dei meccanismi più o meno forte di individuazione del capo del potere esecutivo, ma hanno sempre e necessariamente mantenuto un bilanciamento fortissimo tra questa scelta e la scelta dei parlamentari. Per capirci: in Francia, Macron non ha necessariamente una maggioranza in Parlamento. Lo stesso accade negli Stati Uniti con Biden. Nessuno, in sistemi di presidenziali o semipresidenziali, ha quello che sarebbe garantito al presidente del Consiglio di questa ipotetica riforma cioè un’omogeneità tra Esecutivo e Parlamento».
Cadrebbe la separazione tra i due poteri?
«Verrebbe a cadere perché non solo si voterebbe lo stesso giorno, ma perché è evidente che i candidati a capo del governo farebbero anche le liste elettorali. Così avremmo un governo il quale nasce con una maggioranza garantita a priori alla Camera e al Senato. Questo non è bene. E’ una scelta di grande pericolosità. Infatti non esiste in nessuna democrazia un sistema così. Ed è una cosa molto significativa: vuol dire che gli altri Paesi, sulla base di riflessioni e di storie variegate, però hanno tutti escluso che il Parlamento possa essere necessariamente omogeneo al Governo».
Tornando a Liliana Segre, la senatrice ha indicato agli italiani l’inevitabile «danno collaterale» di questa riforma: il presidente della Repubblica si trasforma da arbitro e garante a notaio.
«Non c’è dubbio. Per arrivare al risultato (e la ministra Maria Elisabetta Casellati sul punto non è stata veritiera), puntano a svuotare in modo radicale i poteri del presidente della Repubblica. Per capirci: i poteri fondamentali del Quirinale sono la formazione del governo e l’eventuale scioglimento anticipato delle Camere. Rimangono sulla carta, ma in pratica si fa decidere come e quando dalla nuova ipotetica Carta costituzionale ciò che al momento attuale decide liberamente e responsabilmente il Presidente della Repubblica. La riforma che viene proposta è il punto d’arrivo di uno svuotamento della figura del Presidente della Repubblica. E questo è molto pericoloso. Sconvolge il sistema verso un assetto che sarebbe sempre più di partito professionale. Si escludono i candidati tecnici. Si escludono i senatori a vita per altissimi meriti. La sensazione è di una riforma costituzionale che attribuisce tutti i poteri a partiti molto strutturati».
In questa ottica, come vede l’altra riforma costituzionale, ossia la separazione delle carriere dei magistrati?
«Il combinato disposto è pessimo. Conferma le peggiori letture. Si punta a un sistema in cui i magistrati siano meno autonomi dal potere politico. Allora, il panorama è questo: si concentra il potere politico intorno al presidente del Consiglio dei ministri; gli si compatta attorno la maggioranza parlamentare; si riduce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. L’esito finale può essere molto pericoloso».
Presidente, è stata la giornata in cui il Senato ha votato la riforma e le opposizioni sono andate in piazza a manifestare. Neanche a farlo apposta ,il 27 giugno 1924, cioè esattamente cento anni fa, i partiti d’opposizione decidevano l’Aventino a seguito del delitto Matteotti. Stiamo assistendo a un nuovo Aventino?
«Le forze di opposizione devono necessariamente opporsi a queste pessime tendenze di riforme istituzionali. Però devono anche stare attente a non esagerare, nel senso che bisogna stare molto a ridosso della maggioranza nella elaborazione di questi testi, che sono davvero brutti e anzi sgangherati. Fidare solo nel referendum è un azzardo pericoloso». —