Sotto elezioni. In Liguria, a Torino e a Bari i casi recenti più eclatanti, l’ultimo blitz a Caserta

Sono almeno 25 le inchieste e i processi aperti in Italia, da Nord a Sud, per voto di scambio. Che vi sia l’aggravante mafiosa o meno, ormai le procure di tutto lo Stivale sanno che quando si avvicinano le elezioni, c’è sempre qualcuno che cerca di accaparrarsi consensi promettendo soldi o favori. Oppure il contrario, come accaduto a Palermo all’ex inviato delle Iene, Ismaele La Vardera, a cui da candidato in Consiglio regionale fu offerto un pacchetto di voti chiavi in mano.
Il caso venuto alla luce più di recente è quello che ha riguardato il governatore della Liguria, Giovanni Toti, il cui capo di gabinetto Matteo Cozzani, secondo i pm, era andato a cercare il sostegno – in cambio di posti di lavoro – dei gemelli Maurizio e Arturo Testa, a loro volta punto di riferimento della comunità siciliana nel quartiere Certosa di Genova. Ma c’è dell’altro. Ha fatto poco rumore a livello nazionale, ma la Toscana è ancora sconvolta dall’inchiesta “Keu”, dove il consigliere regionale Andrea Pieroni è finito iscritto per voto di scambio, a latere di un’inchiesta è coinvolta la ’ndrangheta e sono ipotizzati sversamenti illeciti di rifiuti nelle campagne toscane, con particolare riferimento al materiale di risulta delle lavorazioni della concia.
Scendendo verso la Capitale, di ’ndrine si parla anche nell’inchiesta relativa ai comuni di Anzio e Nettuno, entrambi sciolti per infiltrazioni mafiose alla fine del 2022. Un’indagine molto vasta quella della Procura di Roma, in cui è finito coinvolto anche l’ex sindaco leghista (ed ex parlamentare finiano) Candido De Angelis, oltre a diversi ex assessori e consiglieri dei due comuni. Negli atti si parla di potere coercitivo di clan e di voti confluiti su alcuni candidati in cambio di appalti da assegnare.
Restando sempre nel Lazio, a Cassino (Frosinone), il consigliere comunale del Pd Tommaso Marrocco, e i dem Michele Marra, Antonietta Morelli, Elio Valente e Valentina Colella sono a processo per i fatti accaduti alle elezioni 2019. Tutto nasce da una denuncia di una donna che su youtube raccontava che uno dei candidati della sua lista, poi eletto consigliere comunale, le aveva promesso un posto di lavoro se l’avesse aiutato a ottenere un congruo numero di voti di preferenza. I carabinieri hanno poi scoperto che il sistema era molto più vasto. Tanto che il “caso Cassino”, nei mesi scorsi è stato paragonato a quanto emerso a Bari.
In Puglia sono due le indagini che hanno coinvolto sia la giunta comunale sia regionale di centrosinistra. Nella prima tra gli arrestati c’è Maria Carmen Lorusso, eletta consigliera nel 2019 in una lista di centrodestra, poi passata in maggioranza aderendo al gruppo “Sud al Centro”: nel fascicolo anche le assunzioni facili, legate ai clan, alla società comunale dei trasporti. Nella seconda è finita invischiata l’assessora regionale Anita Maurodinoia (Pd) poi dimessasi.
Dalla Puglia alla Campania il passo è breve. L’ultima inchiesta ha riguardato Caserta, dove i voti sono stati comprati a 50 euro l’uno nelle elezioni vinte nell’ottobre 2021 dal sindaco Pd di Caserta, Carlo Marino (non indagato). Sono quelli rastrellati da alcuni imprenditori vicini a due eletti al consiglio comunale, Emiliano Casale e Massimiliano Marzo. Quest’ultimo è stato arrestato nei giorni scorsi con l’accusa di corruzione.
Infine la Sicilia. L’ultimo caso in ordine di tempo ha riguardato Antonino Naso, del partito Movimento per le Autonomie: sindaco di Paternò (Catania) è indagato dalla Dda perché con l’ausilio del consigliere comunale e assessore alle politiche agricole, il leghista Pietro Cirino, avrebbero chiesto voti a Vincenzo Morabito e Natale Benvenga (in carcere), ritenuti esponenti del gruppo paternese del clan Laudani, soprannominati i “Mussi i ficurinia” (i musi di fichi d’india).