
Per l’ex direttore del Mulino “la sconfitta non si supera con lo stile meetup: ci vuole visione politica”
Lorenzo Giarelli
Non è ancora arrivato il momento profetizzato da Beppe Grillo, quello in cui il Movimento 5 Stelle si esaurisce nella sua “biodegradabilità”. Ma per Mario Ricciardi, professore di Filosofia del Diritto all’Università di Milano e già direttore della rivista Il Mulino, oggi editorialista del manifesto, dopo la sconfitta alle Europee “è ora di una fase costituente” per “farsi qualche domanda” e chiarire la rotta.
Professor Ricciardi, che spiegazione si è dato del cattivo risultato dei 5S?
La campagna elettorale non è stata incisiva. Conte mi è sembrato preoccupato di marcare la distanza dal Pd, e in un certo senso la scelta è comprensibile, perché si contendevano in parte lo stesso elettorato, ma nel portare avanti questa tattica il leader dei 5S è stato deludente. La pace è stata senz’altro un tema centrale in queste elezioni, ma forse si potevano articolare meglio le proposte per i diversi scenari, dall’Ucraina alla Palestina.
Lo spostamento a sinistra della leadership del Pd ha contribuito?
Una parte dell’elettorato 5S era composto da elettori dem delusi che adesso probabilmente hanno pensato di tornare, anche perché quel tipo di elettore – che magari votava Pci o Ds –, ragiona in termini di posizionamento chiaro nel centrosinistra. È vero che Conte ha portato avanti temi di sinistra, per esempio nel sociale, ma ha sempre evitato di posizionarsi ideologicamente in quell’area.
C’è però anche un tema di preferenze: Decaro da solo porta 495 mila voti, Bonaccini 400 mila. Ordini di grandezza che non esistono tra i 5S: andrebbe rivista la regola dei 2 mandati?
Credo che ormai il danno sia fatto: se si eliminasse adesso, in molti lo percepirebbero come il tradimento di un principio. Avere un ricambio non è una cosa sbagliata in sé, ma legarsi mani e piedi a regole eccessivamente rigide è stupido: il problema è che per discutere vincoli e deroghe serve il funzionamento di un partito: questi radicalismi diventano uno scoglio quando si esce dalla stagione del movimento per farsi istituzione.
Anche il tema della legalità, da sempre vanto 5S, sembra attecchire meno. La “questione morale” non sposta voti o è il M5S a non attrarli più?
Anche qui le difficoltà nascono quando si passa dalla protesta alla politica. La legalità dovrebbe essere un tema non politico, può diventarlo in situazioni di crisi (come all’inizio degli anni Novanta), ma prima o poi bisogna tornare alla normalità: non puoi più limitarti a dire che sei per il rispetto della legge, devi anche entrare nel merito di quali leggi andrebbero cambiate e quali andrebbero difese. Prendiamo il Jobs Act, per fare un esempio. Quali sono le idee del M5S sul mercato del lavoro? Va bene aver proposto il reddito di cittadinanza, misura imperfetta ma necessaria, ma l’Italia ha anche un problema di precarietà, di livello di retribuzioni, di tutele del lavoro. C’è la questione dell’equità oltre alla questione morale.
In questo quadro, Conte farebbe bene a fare un passo indietro?
Una riflessione è doverosa: un partito tradizionale indirebbe un congresso, una fase di discussione che però non sia solo il corrispettivo dei MeetUp, ma vada un po’ più nel profondo. Il principio dell’uno vale uno è sacrosanto nel processo di scelta democratica, ma in questa fase bisognerebbe coinvolgere anche persone in grado di dare una visione politica. Come accadeva con De Masi, per intendersi. Nei panni dei dirigenti del Movimento, ragionerei su una conferenza di rilancio, se non di ri-fondazione: c’è stato un risultato negativo, ma non ci sono altre scadenze elettorali imminenti, dunque si può aprire una fase costituente.
Grillo può essere ancora una risorsa?
Credo sarebbe più un problema che una risorsa. La nuova fase non dovrebbe passare da una sua centralità.
Ma da una sfida aperta per la leadership, sullo stile delle primarie?
Serve il coraggio di aprire un confronto trasparente. Potrebbe aiutare anche Conte: se vincesse, ne uscirebbe rafforzato.
Potrebbe essere un modo per “maturare” e aprirsi a minoranze interne meno carbonare di un tempo?
Certamente. Come dicevo, credo si ponga per il M5S il problema di cosa fare “da grande”. Immagino che Conte abbia altri gusti musicali, ma forse non gli farebbe male ascoltare una vecchia canzone ritornata popolare dopo la crisi finanziaria nella versione di Ani Di Franco: Which Side Are You On?. Ecco, di fronte all’ascesa della destra in Europa, da che parte sta Conte? Da che parte devono stare i Cinque Stelle?

