Paolo Russo
roma
La cura anti liste di attesa del governo non sta funzionando. Nonostante sui soldi elargiti al privato per far aumentare l’offerta di prestazioni – 520 milioni nell’ultima Finanziaria- i tempi per ottenere una visita specialistica o un esame diagnostico continuano ad andare nella maggior parte dei casi oltre i tempi massimi previsti per legge. E si potrà anche dire che non esiste una correlazione diretta con l’attività libero professionale dei medici, ma resta il fatto che mentre gli assistiti aspettano come e più di prima, gli incassi per le visite in modalità solvente aumentano.
Ma partiamo dalla coda, quella che si sorbiscono la metà degli italiani per ottenere una prestazione mutuabile. «Il 51,6% di loro – informa Barbara Cittadini, presidente dell’Aiop, l’Associazione delle cliniche private – di fronte alla barriera delle liste di attesa è costretta per curarsi a intaccare il proprio patrimonio. E questo vale anche per le classi di reddito più basse».
Di questa succulenta fetta l’11,9% va nelle tasche dei medici con il doppio lavoro, «mentre meno del 5% è coperto dalla mutualità integrativa che mette al riparo dal dover affrontare spese catastrofiche o dal trovarsi in difficoltà economiche, come è stato per 9 milioni di italiani», afferma Ivano Russo, presidente di Onws, l’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute, che per noi ha realizzato un censimento reale dei tempi, calcolato sulle risposte dei Cup e non sulle segnalazioni da parte dei cittadini dei casi limite. E i dati ci dicono che le cose non vanno affatto meglio. Il monitoraggio è stato effettuato su tre viste specialistiche e quattro accertamenti diagnostici tra i più gettonati. Le Regioni passate al setaccio sono: Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte e la Asl 1 di Napoli, mentre la Lombardia non ha voluto fornire i tempi. L’analisi è stata svolta sulle prescrizioni di priorità B, ossia non differibili da erogare entro 10 giorni, e D differibili, erogabili entro 60 giorni per gli accertamenti diagnostici, 30 in caso di visite (per il dettaglio si vedano le tabelle affianco). I tempi per una visita cardiologica di priorità B sono rispettati appena nel 19,3% dei casi in Liguria, nel 29,4% in Puglia, mentre in Piemonte per la priorità D solo il 17,9% degli assistiti ottiene la visita in tempi ragionevoli. Percentuali simili le ritroviamo anche per la visita ginecologica mentre le cose vanno ancora peggio quando serve un urologo. Alla Asl 1 di Napoli si arriva appena a un 6,5% che rispetta il termine massimo di 30 giorni, ma sotto il 50% sono per entrambe le classi di priorità anche Liguria e Puglia, mentre il Piemonte è al 33% per le prestazioni differibili e al 51,5% per quelle non differibili.
I tempi si allungano ancora per gli accertamenti diagnostici. Per la risonanza magnetica non differibile in Liguria appena il 29,4% eroga entro il mese. Percentuale che sale al 42,5% nel Lazio e riscende al 38,3% in Piemonte, tanto per fare qualche esempio. Vanno meglio i tempi per la Tac al torace, che non vengono rispettati in meno del 50% dei casi solo in Piemonte per la priorità D che è al 33%. Un’impresa invece prenotare una gastroscopia. Qui solo per la classe D a Napoli si sta sopra il 50% del rispetto dei tempi (66,7%), altrove è tutta una débâcle, con la stessa Napoli 1 che per la classe B eroga nei tempi dovuti appena al 16,7% degli assistiti. Migliorano un poco i tempi per l’ecografia all’addome, dove oltre il 50% del mancato rispetto dei tempi sono solo Lazio e Piemonte tra le regioni esaminate.
C’è comunque da dire che solo in 5 casi su 66 (visita ginecologica e tac di classe D a Napoli, ecografia all’addome per entrambe le classi sempre a Napoli e la tac differibile in Liguria) i tempi vengono sempre rispettati, ossia in meno di un caso su 10.
Dietro queste percentuali già di per sé disarmanti c’è poi la conta ancor più estenuante dei giorni di attesa. A Torino ottenere una visita cardiologica è come un parto, perché si devono aspettare 9 mesi, mentre ne servono 5 per una risonanza al cranio e 3 per una gastroscopia. A Roma si aspettano 8 mesi per una Rmn, 5 per fare una gastroscopia, che a Genova si ottiene in 2 mesi mentre ne occorrono 5 per una risonanza.
Numeri ben diversi di quelli ritoccati – e non di poco- verso l’alto che le Regioni comunicano all’Agenas. Tra i trucchi c’è quello di considerare pari a zero attesa la pratica illegale ma ancora diffusa di chiudere del tutto le agende di prenotazione. Poi c’è chi non specifica l’indice di priorità rendendo così impossibile capire se il tempo indicato è entro i limiti di legge o no. Friuli e Campania pubblicano invece solo i dati di alcune Asl, probabilmente le più efficienti.
Resta il fatto che se i cittadini aspettano, il 42% dei medici che fa il doppio lavoro si frega le mani. L’ultima relazione al Parlamento dice che gli incassi da intramoenia, l’attività libero professionale svolta negli ospedali, sono saliti dagli 816 milioni del 2020 a un miliardo e 86 milioni dell’anno successivo. Mentre le indagini svolte dai Carabinieri dei Nas nei mesi scorsi rivelano un Far West fatto di camici bianchi che incassano l’indennità di esclusività con il pubblico per poi lavorare privatamente. Per non parlare di chi intasca mazzette o chiude le agende di prenotazione per poi dirottare i pazienti nel privato. Un business costruito sulle spalle degli incagliati nelle liste di attesa. —