
L’ABBRACCIO COL CAPITANO PER CERCARE DI NASCONDERE LE ULTIME FRIZIONI
la giornata
Federico Capurso / Roma
Meno di dieci minuti in Aula. Si direbbe quasi una visita di cortesia, quella di Matteo Salvini, se la visita non fosse alla Camera dei deputati. Tutti si chiedevano dove fosse, ma quando il segretario della Lega fa il suo ingresso con mezz’ora di ritardo, in giacca e camicia blu notte, sembra che il suo unico obiettivo sia quello di sedersi ai banchi del governo per il tempo di un abbraccio con Giorgia Meloni sotto i flash dei fotografi. Non un secondo di più. Una scena che agli occhi delle opposizioni assume i contorni della farsa: «Bacio! Bacio!» li incita il deputato di Italia viva Davide Faraone. Al suo fianco, il deputato Mauro Del Barba interrompe persino l’intervento per chiedere maliziosamente di «non eccedere in effusioni proprio in Aula».
Ma al governo poco importano gli sberleffi. Ha bisogno, più di ogni altra cosa, di soffocare e coprire in quell’abbraccio le tensioni che da lunedì scorso lo scuotono e lo dividono. Provocate prima dall’entusiasmo di Salvini per la rielezione di Vladimir Putin e poi dalla sua vistosa assenza, martedì, alle comunicazioni della premier in Senato. L’accordo, arrivato dopo contatti telefonici nella serata di martedì tra Meloni, Salvini e Tajani, era di essere tutti e tre in Aula, ieri, e di chiudere definitivamente la vicenda, perché «sulla politica estera non ci possiamo più dividere». E poco male se nella fotografia successiva, quando Meloni prende la parola, il leader del Carroccio è già sparito. Contava l’abbraccio, quello che Tajani titola «la love story», intesa come «storia d’amore di 30 anni della coalizione del centrodestra». E spariscono magicamente gli imbarazzi per le carezze della Lega al Cremlino. Secondo il ministro degli Esteri non c’è nessun caso Salvini: «In Europa non mi ha mai chiesto conto nessuno delle sue parole». Dimenticando però che proprio il tedesco Manfred Weber, presidente di quel Ppe di cui Forza Italia fa parte, aveva commentato l’uscita pro-Putin di Salvini in questo modo: «Vive fuori dalla realtà oppure mente».
Tutto sotto il tappeto. Anche Meloni, intervenendo in replica in Aula, alza un muro in difesa dell’alleato leghista: «Mi si dice di parlare con Orban e con Salvini per chiarire il sostegno all’Ucraina. In entrambi i casi – sottolinea -, contano le decisioni e i voti. Il governo italiano ha una posizione chiara». E ancora: «Quando parlo con persone con cui ho buoni rapporti, e non avevo bisogno di farlo con il ministro Salvini, è possibile che io porti a casa dei risultati – dice rivolta ai deputati del Pd -. Se voi provate a parlare con i vostri alleati del Movimento 5 stelle e fate questo miracolo, l’Ucraina vi sarà grata». Cerca di contrattaccare, di mettere in risalto le divisioni all’interno dell’opposizione su Kiev, ma è costretta a tenere sempre, di fondo, una linea difensiva in cui l’ha trascinata il leader della Lega. E in queste acque non appare a suo agio, alza i toni, si agita, e così finisce per scivolare in un vocabolario poco istituzionale: «Ragazzi – dice ai banchi delle opposizioni -, vi vedo nervosi». Nessun presidente del Consiglio, prima d’ora, si era rivolto in Aula a dei parlamentari chiamandoli «ragazzi». Meloni coglie l’errore, ma il tentativo di uscirne con delle battutine non aiuta. Le opposizioni protestano, si sentono prese in giro. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana la interrompe: «Non è un dibattito, si rivolga sempre alla presidenza!». Meloni riprende, mal celando il fastidio: «Onorevoli, va bene. Preferiscono onorevoli, è corretto», acconsente. Ma non è una questione di preferenza, e anche il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, di Forza Italia, si trova costretto a far notare che «non si può dire “ragazzi” in Aula, c’è una forma da tenere. Anche se a volte – ammette indulgente – è un term ine che è scappato anche a me».
Le opposizioni, intanto, continuano a cannoneggiare. Accusano Meloni di aver festeggiato l’elezione di Putin nel 2018, ma così servono al deputato di FdI Giovanni Donzelli l’occasione per ricordare che anche il Presidente Sergio Mattarella si congratulò con Mosca cinque anni fa. Il paragone manda i Dem su tutte le furie, ma la rabbia si sgonfia rapidamente, mentre i banchi del governo si svuotano. Meloni non ha assistito, è già andata via, proprio in direzione del Quirinale, per la consueta colazione con il Capo dello Stato che precede i Consigli europe i.—
