LA LETTERA

Giovedì mattina, ore 6,30, 29 febbraio. Entro all’ospedale Mauriziano di Torino dopo che un cortese responsabile dieci giorni prima mi aveva avvisato che era il mio turno per una operazione programmata. Salgo e mi ricordo dell’accoglienza di due anni prima, nello stesso reparto, urologia. Come stare a casa; meglio, anzi. Subito il proprio letto pronto, il controllo dei documenti, un po’ di chiacchiere per tenere alto l’umore, l’incontro con i compagni di stanza, l’attesa per la chiamata in sala operatoria.
L’attenzione estrema per procedure buone, la pulizia, la cura, la qualità.
Per una emergenza il mio turno deve ritardare di un poco; causa la durata della mia operazione, un po’ più complicata del previsto, uno dei miei due compagni di stanza viene rimandato a casa. Non ha vere urgenze, viene sostituito da un paziente con una patologia più seria. Per una sera rimaniamo in due, io rigorosamente allettato e accudito con controlli pressoché orari, oltre alla disponibilità estrema e sempre presente di un doppio turno di infermiere. La possibilità di scegliere i pasti anche in una situazione ancora un po’ difficile per un corpo che è meglio che riposi. Saremo almeno una ventina in questo reparto, e ognuno si ritiene fortunato; capisco tendendo l’orecchio – non riesco nemmeno ancora a leggere, posso solo guardare e ascoltare – che alcuni vengono da fuori, è stato consigliato loro di venire qui – sono sardi, mi pare. I controlli rendono i quattro giorni poi veloci, il corpo si riprende e le chiacchiere con il vicino, un meraviglioso ex operaio Fiat che aveva anche una sua officina rendono la degenza ancora più interessante. La domenica mattina con calma e gentilezza vengo dimesso, mi vengono affidati compiti e tempistiche, sono io che devo fare il bravo paziente, se mi fossi curato meglio prima molte difficoltà le avrei potute evitare. Racconto tutto a un amico innovatore, imprenditore, giramondo, che mi fa riflettere su quanto tutto questo costi, e quanto sia efficiente, e come dovremmo esserne orgogliosi. Mi dice che forse dovremmo ricevere una fattura pro forma, all’uscita, per capire il valore di tutto questo straordinario lavoro, e dare una misura all’operato di una classe sanitaria di grande qualità. Fatti due conti in fretta, basandosi su altre esperienze, un trattamento così vale fra i 15 e i 20.000 euro – ma sicuramente qualcuno la cifra la sa calcolare meglio di me. Non sarebbe bello imparare quanto vale la spesa pubblica, come ce la raccontano al museo del risparmio? Dare valore effettivo al servizio della sanità, dell’istruzione, della pulizia dei giardini e di molto altro? Vedere il bicchiere mezzo pieno, e pensare che le nostre tasse sono ben spese, e che siamo davvero in una parte fortunata del pianeta. Una delle poche, temo.—