IL LEADER M5S AVVIA IL DIALOGO PER ACCREDITARSI COME NUOVO FEDERATORE

niccolò carratelli
roma
«Facciamo un bilaterale», aveva scherzato Giuseppe Conte l’altro ieri, incontrando Romano Prodi alla presentazione del libro di Michele Ainis. Una battuta che serviva a mettere in evidenza il loro comune passato da presidenti del Consiglio e, quindi, il fatto che quello fosse un dialogo tra pari, anche se appartenenti a epoche diverse. Tra l’altro, quella non era una battuta, ma un invito. Come anticipato da La Stampa, infatti, ieri mattina, poche ore dopo essersi salutati davanti a telecamere e microfoni alla Galleria nazionale di arte moderna, i due ex premier si sono rivisti in privato. Un’oretta insieme per prendere un caffè e parlare di politica, al riparo da orecchie indiscrete, ma riserbo assoluto sui contenuti del colloquio.
Del resto, è probabile che Prodi abbia colto l’occasione per insistere sull’importanza di allargare la coalizione di centrosinistra, del «mettersi d’accordo per vincere», come aveva detto giovedì sera, e per provare a capire cosa ci sia esattamente «nella testa di Conte», per citare un’altra sua frecciata al leader 5 stelle. Che, aveva fatto capire il Professore durante il dibattito pubblico, rischia di risultare per Elly Schlein un alleato più ostico di quanto non sia stato Fausto Bertinotti per lui, all’epoca del suo primo governo. Ma «Conte è determinante, perché nei 5 stelle ha una leadership chiara e forte», ha spiegato Prodi in tv sempre l’altro ieri sera. Quindi, è un interlocutore imprescindibile per chi abbia a cuore la costruzione di un’alternativa alla destra. Innanzitutto per Schlein, ovviamente, ma anche per il padre nobile del centrosinistra italiano, che prova a dare una mano alla segretaria Pd e a spendersi in prima persona per la riuscita dell’operazione.
Ecco spiegato il caffè con Conte, che davanti alle telecamere non si era mostrato granché disponibile a seguire le raccomandazioni unitarie del Prof. E pare che in privato l’atteggiamento non si sia ammorbidito più di tanto: la diffidenza, per usare un eufemismo, nei confronti di Carlo Calenda non è stata scalfita dagli autorevoli consigli del fondatore dell’Ulivo. Ma per il presidente M5s il faccia a faccia con Prodi assume un’altra valenza. È l’occasione, per suggerire un avvicinamento o, quantomeno, l’avvio di un dialogo, e mostrare che non è solo Schlein a poter vantare un canale diretto con il “federatore” per antonomasia.
Perché è chiaro a tutti che, per ambire a guidare la futura coalizione progressista, possa far molto comodo la benedizione di colui che per ultimo ha saputo battere (davvero) la destra alle elezioni. Quando, lo scorso dicembre, Prodi aveva partecipato al forum sull’Europa organizzato dal Pd e, rispondendo a una domanda, aveva detto che «Schlein può essere benissimo la federatrice», Conte non aveva gradito per nulla. «Al massimo può federare le correnti del Pd», la sua frecciata in conferenza stampa il giorno dopo. Una reazione stizzita, dettata dalla consapevolezza che le parole del Professore hanno ancora un certo peso tra gli elettori di centrosinistra. E anche dalla nostalgia dei bei tempi in cui lui era a Palazzo Chigi, alla guida del governo giallorosso, e nel Pd c’era chi lo esaltava addirittura come «il nuovo Prodi», un democristiano di sinistra perfetto nel ruolo di federatore. Era il 2019, sono passati meno di cinque anni e ora nessuno, tra i dem, guarda a Conte con gli stessi occhi.
Lo stesso Prodi non lo ha mai preso davvero sul serio come suo possibile erede. Anzi, negli ultimi anni non ha risparmiato critiche alla strategia del leader 5 stelle. Come quando parlò di «suicidio politico» dopo la scelta di togliere la fiducia al governo Draghi. In realtà, Conte è vivo e vegeto e accarezza ancora l’idea di tornare a Palazzo Chigi come leader della coalizione progressista. Anche se si guarda bene dall’ammetterlo: «Se prendiamo un voto in più del Pd non cambia niente, non è un nostro obiettivo», ha detto, per smentire di fare la corsa su Schlein. Anche perché gli ultimi risultati di lista in Sardegna e in Abruzzo sono lì a testimoniare che il divario tra i due partiti è, al momento, troppo ampio per ipotizzare sorpassi. Ma di allearsi in veste di “junior partner” Conte non ha alcuna voglia e, anche per questo, rilancia una legge elettorale in chiave proporzionale, così da tenersi le mani libere fino all’ultimo. A Prodi, fermo sostenitore dell’uninominale maggioritario, sarà andato di traverso il caffè. —