antonio bravetti
niccolò carratelli
roma-pescara
Il vento del cambiamento si è fermato sul Gran Sasso. Il campo largo si sognava Campo Felice, e invece ha dovuto arrendersi al centrodestra. Ma la strada, nonostante tutto, resta quella giusta sia nell’analisi del Pd che in quella del Movimento 5 stelle. «Unendo le nostre forze attorno a una visione comune abbiamo riaperto la partita e ridotto» lo scarto che c’era all’inizio della campagna elettorale, dice Elly Schlein, che può sorridere per il buon risultato del suo partito nelle urne. E anche Giuseppe Conte, che invece deve registrare un tonfo del Movimento, è convinto che lo «spirito sardo» sia quello da perseguire. Nonostante la sconfitta in Abruzzo, quindi, i partiti continuano a confrontarsi e un’intesa in Basilicata sembra più vicina. Tra i nomi su cui Pd e M5S stanno ragionando c’è quello di Giampaolo D’Andrea, originario di Potenza, più volte sottosegretario di Stato. Non è l’unico profilo in campo, si parla anche di Giacomo Lasorella, attuale presidente Agcom e anche lui potentino di nascita. Di certo, è arrivato il momento di superare veti e divisioni sulla candidatura dell’imprenditore Angelo Chiorazzo, che va convinto a farsi da parte.
L’approccio unitario, del resto, è la stella polare di Schlein e punto di partenza di qualsiasi analisi del voto in casa Pd. «Stavamo 20 punti sotto e abbiamo recuperato molto, anche se non abbastanza – ragionano fonti dem – se non fossimo andati uniti sarebbe finita molto peggio». Poi una riflessione che punge gli alleati: «Non tutti i partiti della coalizione hanno tenuto come il Pd, che ha aumentato i voti rispetto a 5 anni fa – sottolineano le stesse fonti – la strategia di Schlein sta pagando, gli elettori premiano chi è più unitario». Una lettura che viene ripresa da Michele Fina, senatore abruzzese e tesoriere Pd, molto presente nella campagna elettorale di D’Amico: «Speravo davvero che ogni partito riuscisse a recuperare una sua quota di astenuti, così non è stato – spiega – può aver pesato la diffidenza da parte degli elettori 5 stelle rispetto all’alleanza con Calenda o Renzi, ma il discorso vale anche all’inverso». La prospettiva della coalizione, però, non cambia, perché «solo insistendo, facendo in modo che questa alleanza diventi una consuetudine, si può far sentire gli elettori coinvolti nel progetto unitario», avverte Fina.
Nel Movimento, invece, il primo riflesso è quello di tenere ben separate l’impresa sarda dalla disfatta abruzzese. Dice a La Stampa Stefano Patuanelli: «Sapevamo che era una strada in salita e che le condizioni in Abruzzo erano diverse dalla Sardegna, per tante ragioni». Non solo, paradossalmente l’ “effetto Todde” «ha fatto serrare i ranghi al centrodestra – dice l’ex ministro M5s – e, spaventata dallo spettro di una sconfitta, Meloni ha fatto arrivare in Abruzzo decine di ministri a promettere la qualunque». Su un punto centrale, però, la valutazione coincide con quella del Pd: «La nostra traiettoria non cambia – assicura Patuanelli – il dialogo con il Pd continua».
Anche se da posizioni oggettivamente diverse. Dopo il podio di primo partito in Sardegna, l’Abruzzo vede il Pd in crescita con oltre il 20% (11 punti in più rispetto alle regionali del 2019), mentre i 5 stelle sono in caduta libera e lo stesso Conte ammette il «risultato modesto». In cinque anni hanno perso 13 punti: dal 20% del 2019 al 7 di domenica. Tanto che la minoranza Pd gonfia il petto con gli alleati: «Nessuna spocchia, ma Conte riconosca la nostra centralità». Schlein, invece, vuole coltivare il rapporto con i 5 stelle e sta ben attenta a non infierire, privilegiando un ragionamento sulla coalizione. Sempre che tenga nei numeri, a differenza di quanto ha dimostrato il Movimento in Abruzzo.
Un discesa libera che ha visto Gianluca Castaldi, coordinatore M5s in Abruzzo, fare un passo indietro e rimettere il suo mandato. È stato il primo a metterci la faccia, domenica notte, quando tutto intorno a lui precipitava. Mentre gli exit poll e le proiezioni affossavano D’Amico e, soprattutto, il Movimento, Castaldi andava su e giù per il comitato, concedendosi alle telecamere. Con lui la senatrice Gabriella Di Girolamo. Recitavano una preghiera laica: «La partita è ancora aperta».
Fuori dal comitato diluviava, come i voti per Marsilio. Del Pd non c’era nessuno, giusto l’ex sindaco di Pescara Marco Alessandrini. Canticchiava Il testamento di De Andrè: «Questo ricordo non vi consoli, quando si muore si muore soli. ..». Poco più in là, Castaldi sibilava: «Ci hanno lasciati soli a prendere le pugnalate». Uniti, ma fino a un certo punto. —