
niccolò carratelli
roma
Il campo largo, anzi larghissimo, in Abruzzo se la gioca. Ma è inutile farsi illusioni, perché, in realtà, «il campo largo non esiste, è solo teatro», assicura Carlo Calenda. Non ha tutti i torti, se si pensa allo scontro latente, a tratti pirotecnico, tra lui e Giuseppe Conte, nelle stesse ore in cui entrambi sono impegnati in campagna elettorale a sostegno del comune candidato Luciano D’Amico. Ieri erano in giro per comizi tra le province di Chieti e de L’Aquila, ben attenti a non incrociarsi nemmeno per sbaglio. D’altra parte, il presidente del Movimento 5 stelle ha scoperto (o finto di scoprire) solo qualche giorno fa, in diretta tv, di essere nella stessa coalizione con Azione e Italia Viva: «Non mi risulta ci siano Calenda e Renzi», spiegava, forse ignorando che sulla scheda elettorale con cui domenica si esprimeranno gli abruzzesi, i simboli del M5s e di Azione sono attaccati, uno sotto all’altro. Poi, nell’intervista a La Stampa di domenica scorsa, ha minimizzato il significato dell’alleanza: «Ci sono alcuni candidati di Azione, che sono stati ritenuti affidabili per portare avanti il programma condiviso. Tutto qui».
Insomma, alleati in incognito. E dire che Calenda, subito dopo il risultato negativo delle elezioni in Sardegna (Azione appoggiava Soru), aveva scandito: «Mai più da soli alle Regionali, non è fattibile, bisogna parlare anche con Conte». L’ex premier non l’ha preso sul serio: «Dipende in che giorno e in che orario lo becchi». E l’altro ha subito archiviato lo slancio unitario: «Vi considero populisti, incapaci, trasformisti, proputiniani». Poi ieri ha precisato che sostengono insieme D’Amico solo perché «è un civico ed è bravo», mentre mai appoggerebbe un candidato 5 stelle e qualsiasi ipotesi di campo largo è «un rantolo di una seconda Repubblica che muore». Una definizione che non contribuisce a mobilitare i potenziali elettori di D’Amico. Ma il pessimismo del leader di Azione vale anche per l’idea di un’alleanza strutturale tra Pd e M5s: «La grande questione europea è l’Ucraina e la difesa comune – avverte –. Su questo punto, dal palco della Nuvola, Schlein e Pse hanno detto “si sostiene Kiev”. Il giorno stesso Conte ha detto che non si sostiene Kiev». Per fortuna non è di questo che si parla in Abruzzo, la sfida elettorale si gioca soprattutto sui problemi della sanità, sugli investimenti nei trasporti, con le polemiche sulla linea ferroviaria Roma-Pescara, o sul sostegno all’agricoltura. Elly Schlein ignora le scaramucce tra gli alleati e studia i sondaggi riservati arrivati sulla sua scrivania, che confermano la tendenza della rimonta di D’Amato su Marsilio. Il presidente uscente viene dato sempre in vantaggio, ma la forbice si è assottigliata, rispetto ai 6 o 7 punti di qualche settimana fa, al punto da lasciare aperta la speranza di un secondo colpaccio, dopo quello in Sardegna. L’ex rettore dell’università di Teramo ha deciso di sfruttare il più possibile l'”effetto Todde”, regolandosi esattamente come lei per il comizio di chiusura: niente leader di partito, ma solo esponenti locali a rappresentare la coalizione. Unica ospite da fuori regione sarà proprio Alessandra Todde, attesa venerdì sera a L’Aquila, testimonial perfetta di come si può battere la destra.
D’altra parte, sarebbe stato inutile chiedere a Conte e Calenda, per non parlare di Renzi, di salire insieme sullo stesso palco. Come oggi farà, invece, il solito trio Meloni-Salvini-Tajani per il comizio finale del centrodestra. Il centrosinistra è unito, ma non si deve vedere. Un copione ormai noto, che stavolta, però, ha una variante sul tema: l’appuntamento di giovedì sera a Pescara, l’ultimo comizio di D’Amico con Schlein, che per l’occasione sarà accompagnata da Stefano Bonaccini. Trasferta non scontata, quella del presidente del Pd e dell’Emilia-Romagna, che in Sardegna, ad esempio, non si era fatto vedere. Prima del voto sull’isola aveva promesso battaglia sulla questione del terzo mandato, salvo poi sospendere le ostilità interne per non danneggiare la corsa di Todde. Dopo la vittoria sarda, di fronte al successo della strategia della segretaria, ha deciso di congelare il «chiarimento» e di dare una mano per tentare il bis in Abruzzo. Se l’operazione riesce, infatti, si dà un altro schiaffo, ancora più forte, a Meloni. E, forse, per un attimo, Calenda e Conte smettono di menarsi tra loro. —
