niccolò carratelli
roma
Giuseppe Conte, patriota. Suona anche meglio di «avvocato del popolo». Il presidente M5s si è messo in testa di fare concorrenza a Giorgia Meloni ed è da un po’ che provoca la premier su questo terreno. Perché la parola “patria” non va lasciata alla destra, va bene anche sulla bocca dei progressisti. Tanto da farci un’intera lezione della scuola di formazione politica del Movimento 5 stelle. «Dobbiamo recuperare un concetto che purtroppo la sinistra ha abbandonato nel corso del tempo – spiega Conte al suo arrivo – ed è un po’ appannaggio della destra, che lo ha deformato in termini grotteschi» .
Fila all’ingresso e sala piena oltre ogni ragionevole previsione di venerdì sera. Parlamentari M5s sparsi nelle prime file: dal vicepresidente, Riccardo Ricciardi, al capogruppo alla Camera, Francesco Silvestri, poi la vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone, e la presidente della commissione di Vigilanza Rai Barbara Floridia. Conte resta seduto per quasi due ore ad ascoltare i relatori, moderati da Pasquale Tridico, che coordina la scuola di formazione ed è, al momento, anche l’unico candidato sicuro del Movimento alle Europee. A fianco a lui sul palco, però, potrebbe essercene un altro: Stefano Fassina, ex Pd e Sinistra italiana, fondatore dell’associazione “Patria e Costituzione”, nel tempo ha virato su posizioni sovraniste di sinistra. Se la prende proprio con «quella che è stata la mia parte politica» (parla al passato), che ha «fatto diventare patria e nazione brutte parole della destra», considerate come «elementi di divisioni, legate ai confini, contrarie all’europeismo». A questo proposito, «come affrontiamo la sfida dell’integrazione europea, riconoscendo l’irrinunciabilità delle radici e delle specificità nazionali? Siamo sicuri che gli Stati Uniti d’Europa siano la strada giusta?», domanda Fassina, che forse un pensierino a Bruxelles lo sta facendo davvero.
Il presunto “rosso” cede il microfono al presunto “bruno”, il professor Marco Tarchi, docente di Scienze politiche con un lontano passato neofascista, «archiviato da tempo, non voto a destra da più di 40 anni», precisa. Poi, un po’ a sorpresa, dice di non essere attaccato alla parola patria, «proprio in seguito alla mia militanza nel Msi, perché allora era una parola abusata – ricorda –. Questo non significa che adesso vada ignorata». Come vorrebbe fare, invece, la filosofa Donatella Di Cesare: «Non userei mai quella parola, se non in senso critico – avverte –. Richiama una comunità concepita in termini di appartenenza familiare». Magari non pensa direttamente a Meloni e al cognato ministro Lollobrigida, ma in sala qualcuno nota la sfumatura. Comunque, il confronto prende una piega un po’ troppo accademica, tra riferimenti all’etimologia greca e «analisi weberiane». Al punto che l’intervento conclusivo di Conte risulta di gran lunga il più comprensibile.
L’ex premier è l’unico a sottolineare il vero comun denominatore tra tutti i relatori, non a caso accusati a vario titolo di simpatie verso Mosca: «Patriottismo è dire che la soluzione alle guerre non è inviare armi a oltranza – scandisce – ma contribuire a rafforzare il dialogo per i negoziati di pace». È solo il primo degli affondi nei confronti di Meloni. Perché essere patriottico significa «combattere le disuguaglianze sociali, la precarietà e lo sfruttamento del lavoro», «tutelare il servizio sanitario universalistico», «difendere la Repubblica unica e indivisibile e non dividerla in tanti staterelli», come vuole fare il governo con l’autonomia differenziata.
Insomma, è più patriota il Movimento 5 stelle di Fratelli d’Italia. Ma anche del Pd, ovviamente, perché la sinistra è stata vittima di «un abbaglio ideologico», dimenticandosi che «la parola patria è nella Costituzione ed è un patriottismo costituzionale quello che dobbiamo perseguire». E pensare che negli stessi minuti Elly Schlein è ad Alghero, a tirare la volata alla candidata presidente della Sardegna per il campo progressista, la 5 stelle Alessandra Todde. Conte, invece, ripensa orgoglioso a quando era a Palazzo Chigi e «nel discorso fatto in Parlamento per chiedere la fiducia al mio governo ho usato la parola patria: lo rivendico». Poi si lascia andare a citazioni assortite, dalla Marsigliese (l’inno nazionale francese), in cui «si canta “allons enfants de la patrie”», alla «patria come libertà» di Giuseppe Mazzini, fino a Benedetto Croce, che «segnalava la differenza tra patriottismo e nazionalismo». La migliore, però, quella che viene sottolineata subito sul taccuino del cronista, è «la frase di Che Guevara davanti all’assemblea dell’Onu: “Patria o muerte! “», esclama l’avvocato del popolo. Pardon, il patriota. —