Niccolò carratelli
roma
L’alternativa a sinistra ci dovrà essere, ma nella Sala della Regina di Montecitorio ancora non si vede. Elly Schlein e Giuseppe Conte sono seduti vicini, a meno di un metro di distanza, ma non sono sintonizzati: lei si sforza di essere dialogante, lui non trattiene frecciate velenose. Li ha portati sullo stesso palco l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, per presentare il suo libro sulla lezione che l’Italia dovrebbe trarre dagli anni della pandemia. La segretaria Pd e il presidente M5s si salutano con un bacetto, sorridono in posa davanti ai fotografi, fingono di non aver appena litigato sulla lottizzazione politica della Rai, che Conte non abbia definito il Pd «ipocrita» per aver convocato un sit-in davanti alla sede della tv pubblica e che dal fronte dem non abbiano dedotto che «a lui piace “TeleMeloni”». Platea affollata, molti non esattamente interessati al libro di Speranza, ma ansiosi di godersi un eventuale duello tra i due leader del campo progressista. «Sono sei mesi che non vi vedete», li provoca Lucia Annunziata, chiamata a moderare il dibattito. «Non è così, ci vediamo e ci sentiamo, solo che non lo diciamo ai giornali. Vero?», risponde Conte rivolgendo la domanda a Schlein, che annuisce perplessa. In prima fila ci sono le vecchie glorie del Covid, dal viceministro Pierpaolo Sileri al coordinatore del primo Cts, Agostino Miozzo. Poi mezzo Pd (tra gli altri Provenzano, Orlando, Zingaretti, Cuperlo, Braga) e una piccola rappresentanza di 5 stelle, dal capogruppo al Senato Patuanelli all’ex ministro Sergio Costa. Ci sono anche Massimo D’Alema, seduto a fianco a Dario Franceschini, e Pierluigi Bersani, che auspica un chiarimento, «perché se uno sta a dire che noi lottizzavamo e l’altro sta a dire che lui ci faceva il “vaffa”, non ce la caviamo mai più – spiega l’ex segretario –. Qui c’è la destra, bisogna darsi da fare. Non è che possiamo stare a pettinare le bambole». Speranza, suo discepolo, sa che non si può nemmeno stare tutta la sera a parlare di mascherine e vaccini, così piazza subito un assist, ricordando l’esperienza del secondo governo Conte: «Insieme abbiamo affrontato il Covid e fatto molte cose, un’alternativa alla destra c’è già stata – avverte – come sulla sanità, ci sono molte cose su cui possiamo unirci e lavorare bene, bisogna avere il coraggio di farlo». Senza nascondersi le diversità, perché «voglio bene a Giuseppe, ma quando l’ho sentito in tv su Biden e Trump mi si sono rizzati i capelli».
L’ex premier serra la mascella e aspetta il suo momento, poi precisa: «Non ho mai detto che Biden e Trump sono sullo stesso piano, ma che bisogna avere buone relazioni con chiunque sarà il presidente americano, per tutelare l’interesse nazionale – è la spiegazione –. Sul piano ideologico abbiamo affinità con Biden». Sembra un tentativo di ricucire, non lo è. «Ho visto, però, il Pd che ha rinnegato la transizione ecologica e ci ha messo un dito nell’occhio con gli inceneritori. E ho visto un Pd bellicista, che non mi aspettavo – attacca il leader M5s – anche a me si drizzano i capelli».
Schlein si agita sulla sedia, ma resta quasi impassibile, occhi sul foglio su cui sta prendendo appunti: è passata un’ora dall’inizio della presentazione e, nel ping pong tra Speranza e Conte, ancora non le è stata data la parola. Tanto che l’autore del libro se ne accorge: «Non vorrei isolare Elly», ci mancherebbe altro. La segretaria dem esordisce ringraziando Conte e il suo governo per la gestione della pandemia e già si capisce che non ha alcuna intenzione di rispondere alle frecciate dell’avvocato. Ricorda il lavoro comune delle opposizioni sul salario minimo, «gli emendamenti congiunti sul fondo sanitario presentati alla legge di bilancio», concorda con Speranza sul fatto che «non è vero che non c’è un’alternativa». Suona come una risposta indiretta a Romano Prodi, ma vuole essere un appello: «Ci sono sicuramente delle ferite da ricucire – ragiona Schlein – dobbiamo costruire con pazienza delle convergenze sui temi, fare opposizione insieme sulle questioni concrete».
Conte ha lo sguardo perso in un punto indefinito della sala e, interpellato, prova a svicolare: «A me interessa la traiettoria, abbiamo tempo per definire affinità su temi e programmi – avverte – meglio discutere adesso sulle cose che ci dividono, perché non costruiremo un cartello elettorale senza una visione per il Paese. Noi a gestire il potere non siamo bravi». Altra frustata alla sua vicina di posto, che continua a glissare. A quando un’alleanza nelle Regioni dove non c’è ancora un candidato comune? «The sooner, the better», risponde lei secca. «Quindi dipende da lei, Conte», traduce Annunziata. «Non credo abbia detto quello in inglese – si schermisce l’ex premier – comunque da parte nostra non c’è un atteggiamento pregiudiziale, ma spesso ci sono ostacoli da rimuovere». Sipario, Speranza li saluta con una proposta un po’ ingenua: «Dovremmo fare un’iniziativa insieme…». I due leader lasciano cadere il discorso e se ne vanno ognuno per conto proprio. «Allora ci rivediamo tra sei mesi», scherza Conte. Dall’altra parte della sala D’Alema sta dribblando i giornalisti per guadagnare l’uscita. Alla terza domanda si ferma sulle scale: «Allora il Conte 2 può essere il modello dell’alternativa a sinistra?». «Modello è una parola che non appartiene alla politica. Però…». Però? «Però è un paradosso che le forze che hanno governato insieme non si siano poi presentate insieme alle elezioni. Mentre gli altri, la destra, da divisi che erano sono andati uniti. E hanno vinto». Senza troppe convergenze o traiettorie. —