Domani l’audizione

Luca de Carolis

Il duello che davvero cercava, quello in tv, non lo avrà. Perlomeno non fino alle Europee, perché da qui alle urne la premier troverà posto in agenda solo per l’avversaria che si è scelta, Elly Schlein. Ma Giuseppe Conte la sua sfida a distanza con Giorgia Meloni se l’è comunque procurata sull’eterno pomo di discordia chiamato Mes, tenzone simbolica – tradotto, mediatica – ma non solo: quanto basta per provare a scardinare il gioco a due tra Meloni e la dem.
Andrà in scena da domani, quando il presidente dei Cinque Stelle si siederà davanti al giurì d’onore della Camera. Cioè la commissione speciale prevista dall’articolo 58 del regolamento di Montecitorio, invocata dal Conte offesissimo con la premier che in Senato il 12 dicembre scorso lo aveva accusato di aver approvato da presidente del Consiglio la ratifica del fondo salva Stati “senza un mandato parlamentare” e “alla chetichella, con il favore delle tenebre”, ossia quando il governo Conte-2 era appena caduto. Infamie secondo l’avvocato, che ha scritto al presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana, chiedendogli di nominare una commissione che giudichi “della fondatezza dell’accusa”, richiesta che può avanzare ogni deputato “quando nel corso di una discussione sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità”. L’idea è venuta allo stesso Conte, e ora la speranza dei suoi è che la vicenda si dilati.
Perché è vero, il giurì ha fissato l’audizione del leader del M5S per domani “al termine dei lavori dell’aula”, mentre venerdì mattina toccherà a Meloni. E i due non potranno mai essere messi a confronto, l’uno di fronte all’altra. Però sono possibili altre sedute separate, con annesso, ulteriore rimbalzo su agenzie, giornali e tv. Dipenderà dai cinque membri della commissione, e innanzitutto dal suo presidente Giorgio Mulè: già direttore di Studio Aperto e Panorama e attuale vicepresidente della Camera, forzista per nulla schiacciato sul lealismo al governo. Con lui, i deputati Stefano Vaccari (Pd), Filiberto Zaratti (Alleanza Verdi e Sinistra), Fabrizio Cecchetti (Lega) e Alessandro Colucci (Noi moderati, il movimento di Maurizio Lupi). Saranno loro a compulsare il premier di ieri e la premier di oggi, con un verdetto che non potrà avere conseguenze. Nel dettaglio, una relazione che verrà letta in aula, ma che non potrà essere votata o discussa. Puro materiale da commenti, più o meno politici. Di certo il giurì avrà tempo fino al 9 febbraio per emanare il responso. Prima sarà il turno delle audizioni. Partendo da Conte, che domani porterà con sé una memoria scritta di una decina di pagine. Un testo dove riassumerà le sue ragioni, quelle che l’ex premier esporrà anche a voce. Contestando innanzitutto un errore materiale a Meloni, che in Senato aveva mostrato un documento descrivendolo come un fax – in realtà era una email interna del ministero degli Esteri – contenente l’ordine di approvazione della ratifica, datandolo al 26 gennaio: cioè, il giorno dopo le dimissioni del governo Conte-2. Ma la data in realtà era quella del 20, ossia sei giorni prima la fine dell’esecutivo.
L’altro punto su cui Conte potrà insistere è assieme formale e politico, visto che la premier lo aveva accusato di essersi mosso senza un mandato parlamentare. Tesi già contestata dall’ex premier in un’intervista al Fatto, il 22 dicembre, in cui ricordava “la risoluzione approvata in Parlamento nel dicembre 2020”, in cui si dava mandato al governo di dare il via libera alla ratifica a patto di collegarla a determinati obiettivi, come “una profonda modifica del Patto di stabilità, la realizzazione del sistema di assicurazione dei depositi bancari e la revisione del carattere intergovernativo del fondo per renderlo comunitario”. I colleghi del giurì potranno porgli domande. Poi, il giorno dopo, ascolteranno Meloni. Stando alle indiscrezioni, la premier non dovrebbe consegnare memorie scritte. Se e quanto rilancerà, è da capire.