
La destra si fa male da sola perché inadeguata, ma se la prende coi giornalisti come Ranucc
Gianluca roselli
“È ovvio che la maggioranza di governo voglia imporre una sua narrazione. E utilizza anche la Rai. Il problema è che la riforma Renzi, che mette la tv pubblica nelle mani dell’esecutivo, glielo consente”. Dal 4 aprile scorso Barbara Floridia del M5S è presidente della commissione di Vigilanza Rai.
Partiamo dai programmi nel mirino, come Report. Perché è stato necessario audire Sigfrido Ranucci?
C’è stata una richiesta precisa da parte di alcune forze politiche. Ranucci non è stato convocato come conduttore, cosa che non avrei consentito, ma come vicedirettore dell’approfondimento, insieme al suo direttore Paolo Corsini. La sua audizione, pur formalmente legittima, aveva una chiara motivazione politica.
Su Ranucci abbiamo assistito all’attacco di Maurizio Gasparri e poi s’è saputo il perché: l’inchiesta sulla cybersicurezza.
Credo che ognuno si sia fatto la propria idea su questa vicenda. Mi dispiace che un’istituzione come la Vigilanza abbia dovuto vivere una delle sue pagine non migliori, per usare un eufemismo.
Gli attacchi della politica ai programmi d’inchiesta aumentano. Perché?
Da parte di chi governa c’è paura che emergano fragilità e penombre che, tra l’altro, stanno venendo fuori a prescindere. C’è un problema di impreparazione e inadeguatezza di questa classe dirigente. Ogni giorno ce n’è una, spesso si fanno male da soli. Questo genera un nervosismo che porta a prendersela con i giornalisti, che fanno solo il loro mestiere.
Si parla di Rai meloniana, mentre il centrodestra parla di riequilibrio. Dove sta la verità?
L’occupazione del potere in Rai è sotto gli occhi di tutti. Vero è che chi ha governato in passato ha fatto lo stesso, ma magari in maniera più delicata ed elegante, senza direttori che andavano a rivendicare su un palco la propria appartenenza (Corsini ad Atreju, ndr). L’attuale legge Renzi mette il servizio pubblico nelle mani del governo di turno. Chi vince, prende tutto. Per questo una riforma della governance non è più rinviabile.
I partiti dicono sempre: fuori la politica dalla Rai, ma poi non succede. Controllarla fa comodo a tutti.
Il M5S ha presentato più proposte ma, per superare questo arroccamento, diciamo: azzeriamo tutto e ripartiamo da capo, con degli stati generali dove esperti, forze politiche e società civile possono arrivare a un minimo comun denominatore che faccia da linea guida al Parlamento.
Perché non avete fatto la riforma quando eravate al governo?
Col Conte-1 la Lega era contraria, quindi non avevamo i numeri, e col Conte-2 è scoppiata la pandemia che ha calamitato tutte le attenzioni. Non ce n’è stato il tempo.
Ora si sta approvando il contratto di servizio. Voi avete votato a favore, con la maggioranza. Avete fatto un patto con la destra?
Nessun patto. Abbiamo detto sì perché siamo riusciti a far inserire questioni per noi fondamentali come giornalismo d’inchiesta, cambiamenti climatici, disabilità, transizione digitale, corruzione, giovani. Auspichiamo che il contratto sia aderente al parere della commissione, compresa la trasparenza degli appalti esterni.
Dalla Rai sono scappati diversi conduttori.
Alcuni di loro avrebbero dovuto aspettare e vedere se davvero non c’erano le condizioni per lavorare. Allora mi avrebbero avuto al loro fianco. Forse qualcuno ha avuto troppa fretta di andarsene. Potevano almeno provarci.
Intanto nuovi programmi fanno flop.
Non mi permetto di intervenire sul lavoro dei direttori, ma su alcune scelte ci sarebbe da riflettere.
Le risorse latitano: Salvini ha imposto il taglio del canone. Mentre si pensa ad aumentare la pubblicità.
La riduzione del canone è una riforma farlocca, un gioco delle tre carte fine a se stesso. Una manovra elettorale che mette in grande difficoltà chi deve lavorare al piano industriale. Ma l’aumento degli spot rischierebbe di snaturare la funzione e il ruolo del servizio pubblico.
