L’INTERVISTA

Annalisa cuzzocrea

«Avevamo previsto che sarebbe stato facile accantonare Pozzolo, un semplice deputato che non ha alcun incarico di governo, ma non basta». Giuseppe Conte torna a porre a Giorgia Meloni una questione morale che, secondo il presidente del Movimento 5 stelle, è ineludibile. E lo fa a partire dalla vicenda del Capodanno con sparo di Rosazza, in provincia di Biella, sulla quale ancora nulla è stato spiegato. «Il problema si pone per ministri e sottosegretari, da Delmastro a Sgarbi, da Santanchè a Lollobrigida: si sono resi responsabili di comportamenti che – al di là delle vicende giudiziarie, che vanno tenute separate dalle questioni di opportunità politica – impongono un intervento deciso alla presidente del Consiglio per rispettare il principio di disciplina e onore prescritto a chi ricopre un ruolo istituzionale dall’articolo 54 della Costituzione».
Nel Conte 1 la sua prima frattura con Matteo Salvini si consumò proprio su un’inchiesta che riguardava un sottosegretario, Armando Siri. Crede che i partiti di destra sottovalutino la questione morale?
«Mi sembra evidente che in Meloni e nei suoi sodali prevalga una logica corporativa di difesa reciproca, che va a discapito del decoro e del prestigio delle istituzioni».
La premier ha anche detto che Salvini non deve spiegare nulla riguardo all’inchiesta che ha coinvolto Tommaso Verdini e alcuni dirigenti dell’Anas.
«Io ho chiesto che Salvini spieghi non perché lo ritenga coinvolto, ma perché il ministro responsabile dovrebbe sentire il dovere di venire a dire cosa sia successo in una società vigilata dal suo ministero».
Ha speranze che accada?
«Non lo farà, come non lo fece sulla vicenda Metropol. Quando io ero presidente del Consiglio e lui vicepremier gli chiesi a che titolo avesse fatto partecipare Savoini a un vertice politico con un suo omologo russo. Non mi rispose mai e decisi di presentarmi io in Parlamento a dire quel che sapevo, quel che i miei uffici avevano ricostruito, ritenendolo un dovere democratico».
Una volta ha attaccato anche il Pd sulla questione morale.
«Spero che anche il Pd possa affiancarci in questa battaglia che riguarda la qualità della nostra democrazia, perché la caduta di prestigio delle istituzioni alla lunga provoca disaffezione e sfiducia dei cittadini».
Secondo Meloni anche il Movimento è sempre stato assolutorio con i suoi indagati, come Raggi e Appendino.
«Né Raggi né Appendino hanno mai disonorato gli incarichi rivestiti. Anzi. Chi cerca di fare di tutta l’erba un fascio mira a fare confusione. Bisogna discernere i singoli comportamenti e tenere conto che esiste una responsabilità politica ai sensi dell’art. 54 della Costituzione. Ministri e sottosegretari hanno incarichi pubblici, che è cosa diversa dal partito, che è un’associazione di diritto privato che risponde ai suoi iscritti e ai suoi sostenitori. Nel caso di Meloni, aggiungo, un’associazione gestita in modo familistico. Ai vari Delmastro, Santanchè, Sgarbi può affidare incarichi nel partito, se ritiene, ma non può pensare di gestire istituzioni pubbliche come un affare privato. Ma poi c’è un problema politico anche più generale ».
Quale?
«Il problema preoccupante della forte contaminazione tra politica e affari su cui Meloni appare sorda. Renzi che con Carrai fa affari in giro per il mondo mettendosi a servizio dei regimi autarchici arabi. Gasparri che tace il suo incarico di presidente-procacciatore di affari con aziende di Stato per una holding che opera nella cybersecurity. Il gruppo Verdini che torna prepotentemente alla ribalta e inquina gli appalti di Anas. Per non parlare dei chiarimenti che dovrebbe Sgarbi sul suo giro di affari e consulenze».
A chi si riferisce la premier quando evoca complotti?
«Credo che il complotto serva a scaricare su altri incapacità e incompetenza che il suo governo sta dimostrando. Di qui gli attacchi alla magistratura, il tentativo di delegittimare inchieste giudiziarie in corso, lo scontro sui poteri di controllo come la Corte dei Conti e l’Anac».
Non vede lobby al lavoro per ostacolare la premier?
«Ho fatto due governi in cui ho faticato tantissimo in Europa e all’estero per far capire che eravamo persone serie con un chiaro progetto di rilancio dell’Italia in un quadro geopolitico multipolare. Ho avuto contro potentati economici, finanziari e politici di ogni tipo. Mi sono mai lamentato? No. Meloni governi se ne è capace. Il suo problema con le lobby è che ne sta favorendo alcune e quindi si ritrova le altre contro, il suo è un governo neocorporativo fortemente selettivo che non riesce ad avere una visione generale per il Paese».
Perché non avete votato il Mes insieme al Pd? Che male poteva fare un meccanismo europeo cui non dobbiamo per forza accedere ma che è una garanzia per i Paesi in difficoltà?
«Il Mes rischia di essere uno strumento di distrazione a cui ci siamo sempre dichiarati contrari in quanto meccanismo obsoleto. Il nostro voto è coerente rispetto agli obiettivi dichiarati in Parlamento e mai raggiunti da Meloni: serviva una nuova logica complessiva, che comprendesse anche una revisione profonda del Patto di stabilità. Non c’è stato nulla di tutto questo. La premier, invece di tentare di chiamarci in causa mentendo, cosa di cui risponderà davanti al giurì d’onore della Camera, dovrebbe scusarsi con gli italiani per aver contribuito a introdurre il Mes con un disegno di legge quando era al governo con Berlusconi nel 2011».
È preoccupato per il nuovo Patto di stabilità?
«È la questione cruciale. Un patto che Francia e Germania ci hanno rifilato senza che Meloni abbia avuto il coraggio di combattere una battaglia vera. Del resto lei stessa ha ammesso che questo non è il Patto che avrebbe voluto, salvo poi dire che a condizioni date è soddisfatta. Ma di cosa è soddisfatta? Della manovra correttiva che dovrà fare nel 2024? Chiaramente dopo che gli italiani avranno votato alle Europee? Dei 12 miliardi di tagli che dovremo fare ogni anno? Se consideriamo solo il finanziamento del taglio del cuneo fiscale e dell’Irpef arriviamo a una manovra correttiva per il solo 2024 che si aggira intorno a 30 miliardi».
Mi pare non creda alla crescita italiana maggiore del resto d’Europa.
«Le bugie dette in conferenza stampa hanno una radice chiara: Meloni ha preso voti sfruttando il suo ruolo di opposizione a tutto e tutti, mostrandosi forte, coraggiosa, aggressiva. Ma una volta arrivata a Chigi si è rivelata supina nei confronti di Bruxelles e succube nei confronti di Washington. Questo euro-atlantismo acritico fa impallidire il confronto con i nostri peggiori governi tecnici. Lei stessa soffre questo tradimento politico, le provoca un corto circuito mentale cui cerca di sopperire con la comunicazione, mischiando realtà e falsità».
È un giudizio molto duro.
«Ha parlato di una crescita sopra la media europea, quando in realtà la crescita media del Pil dell’Unione nel 2024 è stimata dalla commissione in un +1,3% contro un +0,9% dell’Italia. Bankitalia, addirittura, stima che quest’anno non andremo oltre il +0,6%. Si è vantata di aver abbassato le tasse tagliando la spesa pubblica e invece lo ha fatto con uno scostamento di bilancio che ha aumentato il debito pubblico. Sulle banche è stata spudorata, quando ci ha accusato di aver fatto in pandemia un regalo al settore con il decreto liquidità, dimostrando di non saper distinguere un contributo da una garanzia prestata per pompare liquidità a favore delle imprese in difficoltà durante la pandemia. E sulla tassa sugli extraprofitti si è superata: non ha avuto il coraggio di ammettere che se l’è rimangiata, prendendo 2 miliardi dalle tasse dei già tartassati cittadini invece che dalle banche. Infine, in un quadro di finanza complicato dal Patto di stabilità ha preannunciato che interverrà con tagli alla spesa e con nuove privatizzazioni».
Non le pare inevitabile?
«Quindi non solo non abbiamo un euro di incentivo per le imprese, caro mutui e caro vita, ma tagliamo la spesa sociale dopo aver già tolto risorse a 400 mila famiglie in povertà assoluta, definanziato gli investimenti nella sanità disastrata, tagliato asili nido».
Le privatizzazioni potrebbero servire a trovare risorse. Siete favorevoli?
«Già in passato abbiamo svenduto a gruppi stranieri e famiglie italiane ben note parte dei nostri asset migliori. Cosa vuole privatizzare ancora? Leggo di una possibile cessione da parte di Eni dell’agenzia giornalistica Agi e di una trattativa in corso con Angelucci. Ma viviamo in un Paese normale? È mai possibile che un imprenditore parlamentare di maggioranza che già controlla Il Giornale, Libero, Il Tempo, acquisti la seconda agenzia di stampa del Paese? Abbiamo un serio problema di concentrazione oligopolistica delle testate giornalistiche, lo vogliamo affrontare? Anche per questo i 14 licenziamenti natalizi dell’agenzia Dire non ci lasciano indifferenti. Il pluralismo e la completezza dell’informazione sono la garanzia di qualità della nostra democrazia».
Li vede in pericolo?
«Ora che è morto Berlusconi possiamo finalmente affrontare questo problema? Chiedo alle forze di maggioranza se siano disponibili a sedersi al tavolo per discutere una legge sul conflitto di interessi e sulla regolamentazione delle lobby».
È rimasto deluso del fatto che Meloni scelga Schlein come sua competitor?
«Meloni sa che in un confronto con me non avrebbe vita facile con le fesserie che racconta».
Così sembra dire che con la sua alleata sarebbe più semplice.
«Non si tratta di questo, metto in conto che Elly si difenda benissimo. Ma il punto è che se Meloni batte Schlein in un confronto tv non vuol dire che sia più forte dell’opposizione. Non possiamo ridurre a questo la nostra politica. Ho fatto un centinaio di vertici europei e internazionali dimostrando che ci si può sedere ai tavoli stando dritti e non accovacciandosi come fa Meloni come un agnellino. È l’esperienza governativa accumulata che mi ha spinto a parlare di goffaggine di Meloni ad esempio sulla necessità di costruire un negoziato per una via d’uscita che tuteli più efficacemente la popolazione ucraina».
Trova goffa anche la posizione su Gaza, che pure tiene conto della difficoltà di una situazione oggettivamente terribile?
«Peggio. Nella posizione su Gaza vedo solo l’indegnità di un governo che rappresenta l’Italia e lascia morire oltre 20 mila civili palestinesi, in buona parte donne e bambini, senza avere il coraggio di condannare con fermezza la strategia militare di Netanyahu».
Nella scelta dei candidati per le Regionali il centrodestra mostra delle crepe. Sono più divisi di quanto non dicano?
«Il centrodestra è sempre stato diviso pressoché su tutto, ma mi aspetto che anche stavolta si ricompatti in nome del potere».
Il centrosinistra invece non manca di dimostrare la sua capacità di dividersi. Ora in Piemonte non si trova la quadra.
«Il nostro obiettivo non è costruire una coalizione per gestire il potere, ma progetti politici che rispondano ai bisogni dei cittadini. Anche per questo il nostro cammino è più impervio».
La preoccupano le leggi in arrivo sulla giustizia: la cosiddetta “legge bavaglio”, la modifica della prescrizione?
«Mi preoccupa tutto il disegno perché sotto le apparenti vesti del garantismo creano un sistema di giustizia che si genuflette rispetto a politici e potenti e diventa inflessibile con i normali cittadini».
Sull’immigrazione, sulla quale lei ha parlato di “terza via”, Meloni ha fatto autocritica per gli scarsi risultati.
«Ma non l’ha fatta sull’accordo sull’Albania, uno specchietto per le allodole che non verrà mai attuato perché prevede investimenti cospicui con il risultato di trasportare avanti e indietro senza alcun vantaggio i migranti. Mi preoccupa il fatto che anziché affrontare con concretezza i problemi della migrazione convergendo sulla questione dell’integrazione, sullo ius scholae al posto dello ius soli, si inseguano chimere che non portano da nessuna parte». —