
IL PRESIDENTE M5S PROVA A ROMPERE LA POLARIZZAZIONE DELLO SCONTRO TRA PREMIER E SEGRETARIA DEM ALLA CAMERA CHIEDE IL GIURÌ D’ONORE CONTRO LA PRESIDENTE PER LE ACCUSE SULLA RATIFICA: BUGIE SUL MES IL GIURÌ D’ONORE
roma
Il punto non è chi potrà fare, quando arriverà il momento, il federatore del centrosinistra. Il punto è chi, nel frattempo, riesce ad accreditarsi come tale, a presentarsi come il leader in pectore del campo progressista, di fronte agli elettori che a giugno voteranno per le Europee. Per questo Giuseppe Conte non può accettare di restare a bordo ring, relegato a semplice spettatore dello scontro tra Elly Schlein e Giorgia Meloni. Come avvenuto lo scorso fine settimana, con la segretaria Pd che sparava dagli Studios di via Tiburtina e la premier che contrattaccava da “Atreju”, monopolizzando il dibattito politico e i titoli dei giornali. Dunque, il presidente Movimento 5 stelle, convoca di lunedì mattina, nel deserto di Montecitorio, una conferenza stampa per dare «una notizia importante». In realtà, scoprono i cronisti, si tratta più che altro di un colpo a effetto: la richiesta al presidente della Camera Fontana di istituire un Giurì d’onore contro la premier-deputata. Colpevole di aver «mentito al Parlamento» sulla storia della ratifica della riforma del Mes fatta «con il favore delle tenebre» e di aver così «leso, con le sue menzogne denigratorie, l’onorabilità mia e del Movimento», spiega il presidente M5s. Una mossa di cui, precisa, ha informato anche il presidente Mattarella, perché l’episodio «non può essere derubricato come normale dialettica politica».
Un chiaro tentativo di riprendersi la scena, da parte di Conte, pur con la consapevolezza che i tempi e lo sbocco dell’iniziativa sono incerti: sarà il leghista Fontana a valutare se e quando istituire il Giurì, definendone composizione e compiti. Passeranno settimane, ma, intanto, l’ex premier prova a spezzare la polarizzazione Meloni-Schlein, ormai cavalcata apertamente da entrambe. «La presidente del Consiglio può fare strategie a tavolino, ma gli avversari politici non se li sceglie lei – avverte Conte – quelli li troverà sul terreno e noi saremo lì per primi». E, provocatore, ricorda che da Fratelli d’Italia «si sono rimangiati l’invito ad “Atreju”: se dovessimo citare il film che a loro sta tanto a cuore, “La storia infinita”, più che all’immagine di un coraggioso Atreju, loro lasciano spazio al Nulla».
La partita si gioca dentro a questo triangolo, come prova il post sui social pubblicato dalla premier pochi minuti dopo la conferenza stampa: non una replica al presidente M5s, ma ancora una volta alla leader dem, che l’aveva attaccata per il passaggio sull’immigrazione nel suo comizio finale ad “Atreju”. Volutamente ignorato, Conte, per non dargli legittimazione da competitor e perché tenerlo in disparte ha come effetto collaterale quello di alimentare la sfida a sinistra con Schlein. Rilanciata anche dall’investitura di Romano Prodi («Elly può essere la federatrice del centrosinistra»), che ovviamente è una prospettiva indigeribile per Conte. Non lo nasconde: «Schlein federatrice? Mi auguro possa esserlo per le correnti del Pd – è la risposta tagliente – noi 5 stelle non abbiamo bisogno di nessun federatore. Lasciamo queste alchimie di laboratorio agli ingegneri politici del Pd, noi pensiamo ai temi». Già così basterebbe per spegnere gli entusiasmi del Nazareno, ma l’ex premier precisa anche che i dem dovrebbero piuttosto fare chiarezza al loro interno «sulla questione morale o sui contorni della transizione ecologica, visto che a Roma il sindaco Pd vuole fare un inceneritore che guarda al passato». Insomma, se è vero che la battaglia sul salario minimo è «il seme per costruire l’alternativa di governo», ci vuole poco a ripescare i nodi critici, aggiungendo anche l’invio delle armi all’Ucraina, «visto che il governo prepara il sesto pacchetto di forniture». E, guardando alla campagna elettorale per le Europee, Conte mette sul tavolo un altro possibile elemento distintivo: «Io non mi candiderò, non ha senso farlo solo per incrementare i voti del Movimento, visto che ho intenzione di continuare a lavorare nel Parlamento italiano – spiega Conte – se ci sono altri che intendono la politica così sono affari loro». Frecciata sia per Schlein, che ci pensa, sia per Meloni, che avrebbe già deciso di correre da capolista. Ma da Palazzo Chigi o da Fratelli d’Italia, come sempre, nessuna reazione. Mentre dal Nazareno cercano di sorvolare, ricordando che «bisogna impegnarsi per contrastare il governo» e che «da Schlein non sono mai venute parole contro le opposizioni – spiegano fonti dem – avendo lei la responsabilità di guidare il maggior partito di opposizione». Ma questo è l’altro nodo: il mancato riconoscimento da parte di Conte del Pd come perno della coalizione progressista, che non può esserci finché il Movimento lo tallona nei sondaggi, indietro di circa 3 punti e, quindi, con la legittima ambizione di recuperare da qui alle Europee. nic. car. —
