PAOLO RUSSO
Il caso delle sanzioni prima comminate poi sospese ai primari del Policlinico di Bari, accusati di aver fatto lavorare troppo i loro medici, rischia di aprirne un altro sulle norme che regolano l’orario di lavoro dei camici bianchi. Quelle che recepiscono una direttiva europea, la quale fissa un periodo minimo di riposo ininterrotto di 11 ore tra un turno e l’altro.
«Siamo pronti a trovare soluzioni più idonee perché queste norme vengano rapidamente corrette», ha dichiarato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, commentando la vicenda barese. «Nemmeno per sogno», è la replica dei sindacati di categoria. «Perché le disposizioni in vigore tutelano non solo la salute dei medici, ma anche quella dei pazienti che rischiano di subire gli errori clinici nei quali inevitabilmente si può incappare quando si è costretti a lavorare in condizioni di stress estremo», afferma il segretario nazionale dell’Anaao, Pierino Di Silverio. Che invita il ministro «ad assumere e a rendere più attraente la professione medica», anziché puntare su altri straordinari per tagliare le liste di attesa. Anche perché lo stesso sindacato, con un’indagine condotta su 2.290 camici bianchi, ne ha già contati una montagna: oltre 10 milioni ore extra «regalate» alle aziende sanitarie, mentre sono 5 milioni le giornate di ferie arretrate. Il 17,1% dei medici arriva ad accumularne oltre 300 ore all’anno di straordinari non retribuiti, mentre un altro 10% abbondante è tra le 200 e le 300 ore e il 19,6% ne fa tra 100 e 200.
In queste condizioni non c’è poi da stupirsi di trovare molti medici in burn out, quell’insieme di sintomi che vanno dall’insonnia allo stress permanente con i quali devono vivere il proprio lavoro il 52% dei medici ospedalieri e il 45% degli infermieri, come documenta l’indagine condotta qualche mese fa da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri. Quelli che da soli si smazzano un quinto dei ricoveri di tutta Italia.
A influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i 30 anni la percentuale di chi è in burn out cala al 30,5%. Fatto è che, proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sul totale dei professionisti della nostra sanità pubblica, abbiamo oltre 56 mila medici e 125 mila infermieri che lavorano in burn out. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno da parte del 36% dei camici bianchi in burn out. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici dà un totale di oltre 20 mila errori gravi.
Discorso analogo per gli infermieri. In questo caso una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima che siano addirittura il 57% gli sbagli più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che si traduce in almeno altri 92 mila errori clinici da matita blu in dodici mesi. —